La fiscalità degli investimenti in oro

29 Ottobre 2020

Premessa

In periodi contraddistinti da estrema incertezza sui mercati e grandi oscillazioni del valore dei titoli, l’oro rappresenta un’appetibile forma di investimento a basso rischio finalizzato al mantenimento del valore del capitale nel tempo. L’oro, per sue caratteristiche intrinseche, infatti, si presta ad essere oggetto di investimento per la sua portabilità, divisibilità, indistruttibilità, riconoscibilità quale mezzo di pagamento e, soprattutto, per il valore che conserva nel tempo. L’appetibilità dell’oro quale bene rifugio in periodi di incertezza sui mercati e di volatilità dei titoli emerge con evidenza se solo si osservi l’andamento del listino oro che, negli ultimi 20 anni, ha registrato un aumento quasi del 700% passando da un valore di 7.62 euro al grammo ad agosto 1999 ad un valore di 52.35 euro al grammo ad agosto 2020. Ciò detto deve precisarsi come il presente contributo intenda indagare esclusivamente gli aspetti fiscali relativi alla detenzione e alla cessione di oro da parte di persone fisiche e, nello specifico, il tema della plusvalenze, del monitoraggio fiscale e dell’IVAFE.

La plusvalenza derivante dalla cessione di oro

Preliminarmente occorre domandarsi se la cessione di oro possa assumere una qualche rilevanza fiscale nell’ambito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Come noto, l’art. 1 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 indica, quale presupposto dell’imposta delle persone fisiche il possesso di una delle categorie di reddito elencate all’art. 6 del medesimo testo unico. Appare dunque necessario indagare se e a che titolo la cessione di oro rientri in una delle categorie reddituali previste quali presupposto impositivo dell’IRPEF.

Ciò detto, deve immediatamente rilevarsi come la cessione di metalli preziosi sia espressamente presa in considerazione dall’art. 67, comma 1, lett. c-ter­ del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, il quale, nel delineare la categoria di “redditi diversi”, annovera, al comma primo, lett. c-ter, tra le plusvalenze fiscalmente rilevanti, quelle “realizzate mediante cessione a titolo oneroso […] di metalli preziosi, sempre che siano allo stato grezzo o monetato”. Il testo unico delle imposte sui redditi non definisce però cosa debba intendersi per metalli preziosi. Al fine di riempire di significato tale endiadi si ritiene di doverne mutuare il significato dall’art. 1 del D.Lgs. 22 maggio 1999, n. 25, il quale definisce metalli preziosi esclusivamente il platino, il palladio, l’oro e l’argento.

Come precisato dalla norma in commento, per assumere rilevanza reddituale quale plusvalenza, la cessione deve avere ad oggetto oro (rientrante, come detto, nella definizione di metalli preziosi) allo stato grezzo o monetato. Entro tale nozione deve sicuramente essere ricompreso il concetto di oro da investimento così come definito dall’art. 1, lett. a) della legge n. 7 del 17 gennaio 2001 ovvero:

  • l’oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell’oro e comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli;
  • le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o abbiano avuto corso legale e che sono vendute ad un prezzo che non superi l’80% del valore di mercato dell’oro in esse contenuto[1].

Stabilito, quindi, che la cessione di oro è suscettibile, al verificarsi delle predette condizioni, di rilevare fiscalmente come plusvalenza patrimoniale e, quindi, come reddito diverso in capo al contribuente persona fisica, a fini definitori occorre precisare che, in generale, la plusvalenza è rappresentata dal differenziale positivo tra il corrispettivo percepito dal cedente (o dal valore dei beni rimborsati) ed il costo o valore di acquisto del bene in capo al cedente.

A tal fine deve rilevarsi come il valore del bene presso il cedente vari a seconda del metodo di acquisto della proprietà sul bene stesso: come precisato dal comma 6 dell’art. 68 del testo unico delle imposte sui redditi, infatti, nel caso di acquisto tramite cessione a titolo oneroso si avrà riguardo al costo del bene sopportato dal contribuente; nel caso in cui il cedente sia divenuto proprietario per successione ereditaria, il valore del bene dovrà essere mutuato dal valore definito o, in mancanza, dal valore dichiarato ai fini dell’imposta di successione o, nel caso in cui la successione sia esente da imposta, si avrà riguardo al valore normale del bene presso il de cuius; ancora, nel caso acquisto per donazione rileverà il costo affrontato dal donante. Ai fini della determinazione dell’ammontare della plusvalenza il costo (ovvero il valore dell’oro presso il cedente) dovrà essere documentato dal contribuente. In via residuale, ovvero assenza di documentazione attestante il valore assunto dall’oro presso il cedente, il comma 7 dell’art. 68 del testo unico prevede una quantificazione presuntiva della plusvalenza fissandola nel 25% del corrispettivo della cessione.

L’eventuale plusvalenza che dovesse determinarsi in applicazione della richiamata normativa sconterà l’imposta sostitutiva del 26%.

Obblighi dichiarativi delle persone fisiche riconnessi ad investimenti in oro e IVAFE

Posto, quindi, che la cessione di oro, rientrando a pieno titolo nella fattispecie di cui all’art. 67, primo comma, lett. c-ter D.P.R. n.917 del 1986, può comportare l’emersione in capo al contribuente di un reddito diverso in forma di plusvalenza, sarà allora necessario inserire in dichiarazione il valore dell’eventuale plusvalenza realizzata. Tale componente positivo di reddito dovrà essere inserito nel quadro RT della dichiarazione delle persone fisiche relativo alle plusvalenze di natura finanziaria.

Per quanto concerne l’oro detenuto all’estero si deve ritenere che esso debba essere dichiarato dal soggetto fiscalmente residente in Italia nell’ambito del quadro RW relativo alle attività finanziarie detenute all’estero. Si precisa, inoltre, che tale obbligo dichiarativo scaturisce dalla mera detenzione di attività all’estero, prescindendo quindi da qualsivoglia operazione realizzativa. Ai fini del monitoraggio fiscale, infatti, ciò che rileva è l’attitudine potenziale degli asset detenuti all’estero a generare redditi imponibili nello Stato in virtù del principio della tassazione worldwide dei redditi prodotti da soggetti fiscalmente residente nello Stato

Altro tema strettamente connesso agli obblighi dichiarativi previsti dal monitoraggio fiscale è quello relativo all’IVAFE, ovvero l’imposta sulle attività finanziarie detenute all’estero. Si prevede, infatti, che la compilazione del quadro RW della dichiarazione delle persone fisiche, oltre a essere finalizzato alla dichiarazione di attività finanziarie detenute all’estero da un soggetto residente in Italia, sia altresì funzionale alla determinazione delle base imponibile dell’IVAFE.

Tale imposta sulle attività finanziarie detenute all’estero da soggetti residenti fiscalmente nello Stato venne introdotta con il comma 18 dell’art. 19 del D.L. n. 201 del 2011, per mezzo del quale veniva previsto, a decorrere dall’anno di imposta 2012 un prelievo dell’1 per mille del valore delle attività finanziarie, aliquota che sarebbe salita all’1,5 per mille per il 2013 e, infine, al 2 per mille a partire dal 2014.

In ordine alla detenzione di oro all’estero, appare necessario domandarsi se, il contribuente, oltre a dover indicare investimenti aurei detenuti fuori dallo Stato nel menzionato quadro RW, sconti su di essi l’applicazione dell’IVAFE.

In tal senso deve premettersi che l’impianto normativo dell’IVAFE è stato impattato dalla novella normativa introdotta dall’art. 9 della L. 30 ottobre 2014, n. 161, che, modificando il testo del comma 18 dell’art. 19 del D.L. n. 201 del 2011, ha inciso sul perimetro applicativo dell’imposta, sostituendo, nella determinazione della base imponibile, il concetto di “prodotti finanziari” alla previgente endiadi “attività finanziarie”.

Posto, infatti, che la finalità perseguita dal legislatore con l’introduzione dell’IVFE, era dichiaratamente quella di introdurre un’imposta che riproducesse simmetricamente, per le attività detenute all’estero, l’imposta di bollo scontata nello Stato sui prodotti finanziari, lo stesso legislatore ritenne, anche a seguito di precise indicazioni della Commissione europea, di restringere la base imponibile dell’IVAFE ai soli prodotti finanziari. Al contrario, utilizzando per la determinazione della base imponibile dell’imposta il più ampio e generale concetto di attività finanziaria si sarebbe finito per introdurre sugli asset detenuti all’estero un’imposta che i medesimi cespiti non avrebbero scontato se detenuti nello Stato, con evidente violazione della libertà di circolazione dei capitali, sancita dall’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dall’articolo 40 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo.

Orbene, se certamente l’oro deve essere ricompreso, ai fini dell’applicazione dell’IVAFE, nell’ambito del concetto di “attività finanziarie”,[2] la novella del 2014, richiamando quale presupposto impositivo non già la detenzione di attività finanziarie ma di “prodotti finanziari”, sembra escludere dall’ambito applicativo dell’imposta l’oro e gli altri metalli preziosi.

Che il concetto di prodotti finanziari sia più restrittivo di quello di attività finanziaria è espressamente affermato anche dall’Agenzia nella risposta ad interpello n. 386 del 2019 laddove afferma che “Ai sensi della nuova formulazione del comma 18 dell’articolo 19 del decreto legge n. 201 del 2011, l’IVAFE si applica, in misura differenziata, sul valore dei “prodotti finanziari”, dei “conti correnti” e dei “libretti di risparmio” detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti in Italia e non più, genericamente, sul valore delle “attività finanziarie”.

Sempre nell’ambito della medesima risposta l’Agenzia fornisce una definizione di prodotti finanziari mutuandola, sostanzialmente, dall’articolo 1, comma primo, lett. u) del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), secondo il quale sono da considerarsi tali: “gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria non costituiscono prodotti finanziari i depositi bancari o postali non rappresentati da strumenti finanziari”. La definizione di “strumenti finanziari” è a sua volta contenuta nel comma 2 che rinvia alla sezione C dell’Allegato I ove sono elencate, tra le altre, le seguenti tipologie: “1) valori mobiliari; 2) strumenti del mercato monetario; 3) quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio; 4) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati (...)”.

In ossequio all’iter argomentativo di cui sopra, appare pertanto evidente come l’oro e gli altri metalli preziosi, non potendo essere annoverati nel concetto di prodotti finanziari, non ricadano più nell’ambito applicativo dell’imposta, dovendosi dunque concludere che l’inserimento di valori aurei nel quadro RW sia esclusivamente finalizzato al monitoraggio fiscale e non già alla determinazione della base imponibile IVAFE.

[1] Rientra nella nozione di oro alla stato grezzo o monetato anche l’oro industriale che non abbia subito lavorazioni.

[2] E ciò anche in forza di quanto espressamente affermato dall’Agenzia delle Entrate con la circ. 38/E del 23 dicembre 2013.

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