Il presente contributo affronta il tema della legittimazione del creditore del legittimario leso o pretermesso ad esperire l’azione di riduzione in via surrogatoria. La questione in esame si pone in quanto non è infrequente che il testatore, al fine di tutelare il patrimonio ereditario dalle aggressioni dei creditori dei propri eredi, disponga, in favore degli eredi indebitati, per una quota inferiore alla legittima o decida di escluderli del tutto dalla successione. Si tratta, pertanto, di indagare i rimedi attivabili dai creditori per il caso in cui i legittimari lesi o pretermessi, anche in accordo con il testatore, trascurino di tutelare i propri diritti di legittima, con evidente pregiudizio dei creditori medesimi. Lo strumento previsto dall’ordinamento giuridico a tutela dei diritti di legittima è l’azione di riduzione di cui agli artt. 553 e seguenti c.c. Tale rimedio consente di rendere inefficaci le attribuzioni lesive compiute dal de cuius, riducendo le disposizioni testamentarie e, se necessario, le donazioni, al fine di reintegrare la quota di legittima. Ai sensi dell’art. 557, co.1, c.c., legittimati attivi ad esperire l’azione di riduzione, oltre ai legittimari (coniuge, figli e ascendenti del de cuius), sono i loro eredi e aventi causa. In quest’ultima categoria rientrano gli acquirenti, a titolo gratuito o oneroso, dei diritti di legittima, mentre è discusso se siano ricompresi tra gli aventi causa anche i creditori personali del legittimario. La giurisprudenza prevalente tende ad escludere che ai creditori personali del legittimario possa riconoscersi una diretta legittimazione attiva all’azione di riduzione per il tramite dell’art. 557, co. 1, c.c., tuttavia, la circostanza che l’azione di riduzione possa essere esercitata anche da soggetti diversi dal suo titolare implica che essa non ha un carattere strettamente personale e, pertanto, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 2900 c.c., può ammettersi il suo esercizio in via surrogatoria anche da parte dei creditori personali del legittimario. Il creditore, pertanto, sostituendosi al proprio debitore nell’esercizio dell’azione di riduzione ha la possibilità di salvaguardare la garanzia patrimoniale generica che gli spetta ai sensi dell’art. 2740 c.c. La Suprema Corte di Cassazione, in un recente arresto (sent. n. 16623 del 2019), ha desunto l’ammissibilità della surroga del creditore nell’azione di riduzione dal comma 3 dell’art. 557 c.c., in forza del quale i creditori del de cuius non possono agire in riduzione o profittarne se il legittimario non ha accettato l’eredità con beneficio di inventario. Argomentando a contrario, quindi, l’ordinamento ammette la surroga del creditore del defunto nell’ipotesi in cui il legittimario abbia accettato l’eredità puramente e semplicemente, ciò in quanto la confusione tra il patrimonio dell’erede e quello del de cuius obbliga il legittimario a rispondere dei debiti ereditari con tutto il proprio patrimonio presente e futuro. Con particolare riferimento alla posizione del legittimario leso, nel caso in cui si escludesse la surroga dei suoi creditori personali nell’azione di riduzione, di contro ammessa dalla legge per i creditori personali del defunto, si determinerebbe una violazione del principio di eguaglianza di cui all’art 3 Cost., in quanto verrebbe riservato un trattamento diverso a situazioni del tutto uguali. D’altra parte nella giurisprudenza di merito si rinvengono numerosi precedenti favorevoli all’esperibilità della surroga nell’azione di riduzione da parte dei creditori del legittimario leso, mentre è controverso se lo stesso possa dirsi anche per il creditore del legittimario pretermesso. I precedenti richiamati, infatti, hanno sempre affrontato il caso del legittimario, chiamato a succedere per una quota inferiore alla legittima, che avesse già assunto la qualità di erede ma che trascurasse di far valere i propri diritti di legittima. In tal caso la surroga del creditore nell’azione di riduzione produceva solo effetti patrimoniali, senza incidere sulle scelte personali del legittimario che aveva comunque già manifestato la propria volontà di diventare erede. Sino alla sentenza n. 16623 del 2019 della Cassazione, dunque, non vi erano precedenti che affrontassero la medesima questione in relazione ad un legittimario pretermesso e quindi escluso dalla successione. Sul punto, invece, era stata la dottrina ad esprimere una posizione sfavorevole, in considerazione del fatto che l’esperimento dell’azione di riduzione avrebbe comportato in capo al legittimario l’acquisto automatico della qualità di erede, in violazione del principio, immanente nel nostro ordinamento, in base al quale nessuno può diventare erede contro la propria volontà. La Suprema Corte, con una soluzione di compromesso, nella sentenza n. 16623 del 2019 è giunta ad ammettere la surroga del creditore nell’azione di riduzione anche nel caso in cui il legittimario sia stato pretermesso, superando l’ostacolo rappresentato dall’acquisto della qualità di erede in capo al legittimario attraverso l’applicazione analogica dell’art. 524 c.c. Come noto, tale norma consente al creditore del chiamato, che abbia rinunziato all’eredità, di farsi autorizzare dal giudice ad accettare l’eredità in nome e in luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza del proprio credito. L’impugnazione della rinunzia da parte dei creditori, in definitiva, consente agli stessi di soddisfare le ragioni di credito nel rispetto della volontà del debitore rinunziante che, infatti, non acquista la qualità di erede. La tutela del credito, alla base dell’art. 524 c.c., ha indotto la Cassazione a ritenere la norma applicabile anche a casi diversi da quello espressamente disciplinato ma sorretti dalla medesima ratio. La Suprema Corte ha dimostrato di aderire a quell’orientamento che annovera il rimedio di cui all’art. 524 c.c. tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale generica, in contrapposizione all’orientamento che invece considera la norma di natura eccezionale e, quindi, suscettibile di stretta interpretazione. La Cassazione ha quindi chiarito che l’acquisto della qualità di erede non deriva tanto dal vittorioso esperimento dell’azione di riduzione quanto dall’effettivo incremento patrimoniale in capo al legittimario. Di conseguenza, l’esperimento in via surrogatoria dell’azione di riduzione da parte del creditore del legittimario, al solo scopo di soddisfarsi su quella parte di massa ereditaria che spetterebbe al legittimario se agisse in riduzione, non comporta alcun incremento del patrimonio del legittimario, al pari di quanto avviene con l’impugnazione della rinunzia all’eredità. Pertanto, dal combinato disposto degli articoli 2900, 557, co. 3 e 524 c.c. la Cassazione conclude che il sistema giuridico consente la surroga del creditore nell’azione di riduzione spettante al legittimario pretermesso. In tal modo gli Ermellini hanno assicurato un’adeguata tutela alle ragioni del credito, superando la disparità di trattamento tra i creditori dei legittimari e i creditori del defunto, nel rispetto della volontà del legittimario pretermesso che con il proprio comportamento inerte implicitamente mostra di non voler acquistare la qualità di erede, con ogni impatto immaginabile sulle cosiddette pretermissioni amiche.