L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione in commento, ha fornito doverosi chiarimenti in merito ad alcuni aspetti legati al regime fiscale delle gestioni patrimoniali effettuate da soggetti operanti nel settore del private banking – vale a dire l’insieme di servizi di investimento finanziari e di consulenza personalizzati e dedicati alla gestione del patrimonio del cliente – a coloro che si avvalgono del regime opzionale dei c.d. “neo residenti” ex art. 24-bis TUIR. Come noto, la L. n. 232/2016 ha introdotto nel nostro ordinamento l’art. 24-bis TUIR, il quale prevede un’imposta sostitutiva sui redditi di fonte estera per le persone fisiche che trasferiscono in Italia la propria residenza fiscale. La finalità della norma è quella di favorire gli investimenti nel nostro Paese da parte di soggetti non residenti, attraendo in Italia individui ad alto potenziale in ragione dell’ingente disponibilità di capitali e di risorse finanziarie che possono essere investiti in Italia. La norma prevede un regime opzionale che si sostanzia in una deroga al principio, sancito dall’art. 3 TUIR, della c.d. “worldwide taxation”, stabilendo che i redditi prodotti all’estero vengano assoggettati a tassazione con un’imposta sostitutiva forfetaria, determinata, indipendentemente dall’ammontare dei redditi di fonte estera, in 100.000 euro in ciascun periodo di imposta in cui opera l’opzione (oltre a 25.000 euro per ogni ulteriore familiare). Per i redditi prodotti nel nostro Paese, invece, continuano a valere le regole ordinarie. Ai fini delle imposte indirette o patrimoniali, inoltre, gli asset esteri risultano esclusi da: Entrando nel merito della risoluzione, la questione oggetto dei chiarimenti dell’Agenzia ha riguardato i criteri di territorialità delle imposte sui redditi, delle imposte sulle successioni e donazioni e sull’imposta di bollo, in rapporto alle attività finanziarie detenute dalle persone fisiche che beneficiano del ridetto regime di cui all’art. 24-bis TUIR. Dalla lettura della consulenza giuridica pubblicata dall’Amministrazione, infatti, emerge come l’Associazione istante ha evidenziato che i propri associati, intermediari finanziari residenti, stanno riscontrando resistenza, da parte dei soggetti che hanno trasferito la residenza in Italia, all’affidamento in amministrazione o in gestione delle attività estere in rapporto alle quali usufruiscono del regime di imposizione sostitutiva sopra menzionato. I dubbi di detta Associazione di categoria hanno riguardato, nello specifico, gli eventuali effetti fiscali derivanti da: Oltre a ciò, sono stati chiesti chiarimenti in ordine agli obblighi sussistenti in capo agli intermediari finanziari residenti ai fini del monitoraggio fiscale e delle comunicazioni all’anagrafe tributaria. L’Agenzia delle Entrate, aderendo in buona parte alle osservazioni prospettate dall’istante, ha innanzitutto ribadito che il criterio per stabilire se un reddito prodotto all’estero possa essere tassato in Italia è quello previsto dall’art. 165, comma 2 TUIR. Tale disposizione prevede che “[i] redditi si considerano prodotti all’estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall’articolo 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato”. In altre parole, occorre procedere a una lettura a specchio della norma che individua i criteri di territorialità dei redditi prodotti nel nostro Paese da parte dei soggetti non residenti i quali, come è risaputo, sono tassati in Italia limitatamente ai redditi ivi prodotti. In particolare, per quanto concerne i redditi di capitali e i redditi diversi di natura finanziaria, è previsto che si considerano prodotti nel territorio dello Stato e risultano, pertanto, imponibili: Da ciò l’Agenzia – richiamando la propria Circolare n. 207/1999 – ha assunto che per i redditi di capitale l’imponibilità trae origine, in genere, dalla circostanza che il reddito sia prodotto nel nostro Paese, ovverosia che l’impiego di capitale che lo ha generato sia effettuato in Italia e che l’effettiva corresponsione delle somme provenga dallo Stato, da un soggetto residente o da una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di soggetti non residenti. In pratica, affinché il corrispettivo possa essere tassato in Italia, esso deve derivare da un contratto che obbliga il residente alla corresponsione delle somme e dei valori ricevuti per l’impiego del capitale, non essendo sufficiente che tali proventi siano soltanto materialmente versati da soggetti residenti incaricati soltanto di provvedere al pagamento. Per questa ragione, i redditi corrisposti da Stati o soggetti esteri ai neo residenti che usufruiscono del già citato regime opzionale ex art. 24-bis TUIR, non perdono la caratteristica di redditi di capitale di fonte estera – mantenendo, così, le conseguenti agevolazioni fiscali – non soltanto se sono riscossi all’estero, ma anche se le attività finanziarie estere, da cui gli stessi redditi derivano, sono oggetto di un contratto di custodia con intermediari italiani; o di un contratto di gestione, amministrazione e consulenza con intermediari italiani, pur essendo depositate presso un conto estero; oppure, ancora, di un contratto di assicurazione sulla vita a contenuto finanziario stipulato con compagnie di assicurazione estere operanti in Italia in regime di libera prestazione di servizi, quando la riscossione venga affidata a intermediari italiani. In quest’ultimo caso – viene specificato nel documento di prassi – non è, peraltro, dovuta né l’imposta sulle riserve matematiche, né l’imposta sul valore dei contratti assicurativi. Per quanto riguarda, poi, i redditi diversi di natura finanziaria, sono rilevanti le cessioni di partecipazioni in società residenti (a eccezione di quelle escluse espressamente dalla norma), a prescindere dal fatto che i titoli o i diritti rappresentativi della partecipazione si trovino nel territorio italiano. Viceversa, per i titoli non aventi natura partecipativa, la disposizione di legge non richiede che l’emittente sia un soggetto residente in Italia e, dunque, sono imponibili le plusvalenze derivanti dalla cessione o dal rimborso di detti titoli anche se emessi all’estero (sempre escludendo le fattispecie previste dalla norma), sempreché la cessione o il rimborso riguardi titoli che si trovano nel territorio dello Stato. Di conseguenza, i redditi diversi realizzati dai c.d. “neo residenti” per effetto della cessione di attività finanziarie detenute nel territorio dello Stato, sono imponibili in Italia. Pertanto, l’Agenzia, se da un lato ha sostenuto che, per le plusvalenze relative alla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società estere o di titoli non aventi natura partecipativa, la natura di fonte estera non viene meno a seguito della stipula di un contratto di amministrazione, gestione e consulenza, dall’altro lato – e in parziale contrasto con le conclusioni prospettate dal contribuente – ha affermato che, per applicare l’imposta sostitutiva a tali attività, è necessario che queste ultime non siano detenute in un conto di deposito presso un intermediario italiano. Conforme, invece, alla soluzione indicata dall’istante, è stata sia la conclusione dell’Agenzia riguardo agli obblighi di monitoraggio fiscale – non dovuti –, sia quella relativa alle imposte di successione e donazione, per i quali i neo residenti scontano la tassazione soltanto per i beni e i diritti esistenti nello Stato italiano al momento della successione o della donazione. Al contrario, altra parziale discrasia tra la posizione del contribuente e quella dell’Amministrazione si rinviene con riguardo al tema dell’imposta di bollo. Difatti, se viene sostenuta l’esenzione delle attività detenute all’estero dall’IVIE e dall’IVAFE, nella risoluzione l’Agenzia ha sostenuto che l’imposta di bollo, non essendo prevista alcuna disposizione esentativa in tal senso, trovi applicazione nelle fattispecie descritte dall’istanza. A nostro avviso, i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione in commento rappresentano le conclusioni più logiche e più aderenti al quadro normativo complessivo: una diversa posizione espressa su tali tematiche sarebbe, infatti, stata ingiustamente penalizzante per gli intermediari italiani, rendendoli meno competitivi sul mercato rispetto agli intermediari esteri. Tuttavia, qualche dubbio rimane sulla soluzione prospettata dall’Amministrazione relativa al tema dell’imposta di bollo. Come opportunamente evidenziato dall’Associazione istante, infatti, l’imposta di bollo è del tutto speculare all’IVAFE. Invero, dalla sua introduzione, quest’ultima ha subito modifiche nel corso degli anni per essere del tutto allineata all’imposta di bollo, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto quello soggettivo. A seguito di tali modifiche, si può oggi affermare che vige una perfetta alternatività fra i due tributi. Per tale ragione, esentare le attività detenute dai neo residenti all’estero dall’IVAFE e non anche dall’imposta di bollo appare francamente illogico. La posizione dell’Agenzia delle Entrate porta, infatti, alla paradossale conseguenza per cui un dossier composto solo da titoli esteri, ma intrattenuto con un intermediario italiano, è assoggettato all’imposta di bollo, mentre un dossier titoli composto solo da titoli italiani presso un intermediario estero non è imponibile perché ricade nell’applicazione dell’IVAFE.