L’intervento delle Sezioni Unite, con la sentenza in commento, ha posto fine ad un acceso contrasto giurisprudenziale. In particolare, è stato chiarito in che modo debbano essere individuati i beneficiari di una assicurazione vita, nel caso in cui la designazione del disponente si limiti ad un generico “eredi legittimi”, e quale sia la natura giuridica, successoria o negoziale, del diritto acquisito dai beneficiari medesimi. Prima di esaminare il percorso logico-giuridico seguito dalla Suprema Corte, è bene ricostruire i fatti di causa. La vicenda trae origine dalla stipula di quattro polizze vita che individuavano quali beneficiari gli eredi legittimi dello stipulante. Alla morte di quest’ultimo, la compagnia di assicurazione aveva ripartito l’indennizzo per teste, quindi, in cinque quote uguali per quanti erano gli eredi legittimi del disponente (un fratello e quattro nipoti figli della sorella, premorta allo stipulante). Il fratello dello stipulante contestava la ripartizione dell’indennizzo compiuta dalla compagnia di assicurazione, tuttavia, la domanda veniva rigettata dai giudici di primo grado con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. In sede di appello, invece, in riforma dell’ordinanza, i giudici decidevano che l’indennizzo andasse diviso in due quote uguali, di cui una destinata al fratello superstite dello stipulante e l’altra da ripartire tra i quattro nipoti subentrati alla madre per rappresentazione ex art. 467 c.c. Per l’effetto, la compagnia di assicurazione veniva condannata a versare la maggior somma in favore del fratello dello stipulante. La Suprema Corte, investita dal ricorso proposto dalla compagnia di assicurazione e rilevato il contrasto giurisprudenziale sul punto, rimetteva la decisione alle Sezioni Unite. Come anticipato, il contrasto giurisprudenziale riguardava l’individuazione dei beneficiari e la misura dell’indennizzo da liquidare in loro favore, per il caso in cui la polizza prevedesse un generico riferimento ai legittimi eredi. L’orientamento più risalente è stato inaugurato con la sentenza n. 9388 del 1994, in forza della quale il beneficiario della prestazione dell’assicuratore è titolare di un diritto autonomo che trova fondamento nel contratto, come d’altra parte previsto dall’art. 1920 co. 3 c.c. I beneficiari-eredi, pertanto, devono essere individuati nel rispetto delle regole sulla delazione ereditaria (testamentaria o legittima in base alle indicazioni dello stipulante), le loro quote, tuttavia, si presumono uguali, fatta salva la previsione di uno specifico criterio di ripartizione all’interno del contratto. In altri termini, dal momento che la fonte del diritto del beneficiario è contrattuale non può trovare applicazione la disciplina codicistica in tema di ripartizione in quote dell’asse ereditario. Dal 2015, con la sentenza n. 19210, la Cassazione ha assunto una posizione contrastante con il primo orientamento, sostenendo che se lo stipulante abbia ritenuto di indicare i beneficiari in coloro che risulteranno avere la qualità di eredi al momento della corresponsione dell’indennizzo, allora questi ha inteso riferirsi anche alle modalità di ripartizione dello stesso, in misura proporzionale alle quote ereditarie a ciascuno spettanti per legge o per testamento. La giurisprudenza più recente ha mostrato un andamento ondivago, aderendo ora all’uno o all’altro orientamento, con conseguenze pratiche tutt’altro che irrilevanti: Le Sezioni Unite, ricostruito il panorama giurisprudenziale, individuano la questione di diritto sulla quale sono chiamate a decidere. Chiarito, infatti, che entrambi gli orientamenti giurisprudenziali condividono la natura iure proprio (e non iure successionis) del diritto del beneficiario, trovando esso la propria fonte nel contratto, il punto controverso è: la sussistenza o meno di un criterio immanente di interpretazione presuntiva, secondo cui la designazione, quali beneficiari, degli eredi dello stipulante comporti un rinvio alla disciplina relativa alle quote di ripartizione dell’eredità secondo le regole della successione legittima o testamentaria. Gli Ermellini, quindi, passano all’esame della struttura del contratto di assicurazione sulla vita in favore di terzo ed affermano che, ai sensi dell’art. 1920 co. 3 c.c., il beneficiario acquista il proprio diritto ai vantaggi dell’assicurazione con la designazione, tuttavia, trattandosi di un negozio inter vivos con effetti post mortem, la morte dell’assicurato determina il momento in cui la prestazione deve essere eseguita. Alla luce di quanto sopra, la designazione risulta essere un elemento essenziale del contratto, la cui mancanza determinerebbe, alla morte dello stipulante, la ricaduta della somma assicurata nel patrimonio del de cuius e la sua successiva devoluzione agli eredi, questa volta iure successionis. In altre parole, solo la designazione consente la fuoriuscita della somma assicurata dal patrimonio dello stipulante con acquisto iure proprio, in capo al beneficiario, del diritto ai vantaggi dell’assicurazione. Dalla designazione, pertanto, il suddetto diritto entra a far parte del patrimonio del beneficiario con la conseguenza che, nel caso in cui questi dovesse premorire allo stipulante, il diritto sarebbe trasmesso iure successionis agli eredi del beneficiario stesso, in proporzione alle rispettive quote ereditarie. D’altra parte, il contratto in esame rientra nella categoria dei contratti in favore di terzo e ad esso è applicabile il disposto di cui all’art. 1412, co. 2 c.c.: “la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente.” Le Sezioni Unite concludono che il richiamo da parte dello stipulante alla qualifica di eredi, in sede di designazione, ha il solo fine di determinare per relationem i beneficiari del contratto di assicurazione e, pertanto, stante la natura inter vivos del diritto di credito loro attribuito, è esclusa l’operatività delle regole sulla comunione ereditaria e la ripartizione dell’indennizzo in ragione delle rispettive quote. Da quanto sopra deriva che, in presenza di una pluralità di eredi, si presume che l’indennizzo debba essere ripartito in parti uguali tra tutti coloro che rivestano la suddetta qualità, fatta salva la libertà dello stipulante di indicare un differente criterio di ripartizione. Nel caso in cui lo stipulante, dopo aver designato quali beneficiari del contratto i propri eredi legittimi, dovesse fare testamento, ciò non equivarrebbe a nuova designazione, dal momento che la disposizione mortis causa opera su un piano diverso rispetto alle attribuzioni inter vivos, salvo il caso in cui il testatore/stipulante abbia manifestato una inequivoca volontà in tal senso. In sostanza, anche in presenza di un testamento, l’assicuratore dovrebbe comunque attenersi al contratto eseguendo la prestazione nei confronti di coloro che risultino eredi legittimi dello stipulante al momento dell’apertura della successione. Le Sezioni Unite, affermati i principi di diritto volti alla risoluzione del contrasto giurisprudenziale, passano alla decisione del caso concreto sottoposto alla loro attenzione. In particolare, si tratta di stabilire se i quattro nipoti dello stipulante abbiano acquisito i vantaggi del contratto in forza della designazione, e quindi iure proprio, ovvero li abbiamo ereditati dalla madre premorta allo stipulante. Sul punto i Giudici chiariscono che quando la designazione rinvia per relationem alla qualità di eredi, i beneficiari non sono individuati sino all’apertura della successione dello stipulante, momento in cui acquistano i diritti conseguenti alla designazione. Nel caso di specie, all’apertura della successione, gli unici eredi dello stipulante erano il fratello superstite e i quattro nipoti. Questi ultimi, dunque, non sono subentrati alla madre per rappresentazione, essendo la stessa già deceduta nel momento in cui la designazione è divenuta attuale (ovvero con l’apertura della successione dello stipulante). I nipoti dello stipulante hanno acquistato iure proprio i diritti di credito derivanti dal contratto di assicurazione, pertanto, l’indennizzo deve essere ripartito per teste ed in cinque parti uguali quanti sono gli eredi legittimi dello stipulante. Queste le argomentazioni in forza delle quali le Sezioni Unite cassano con rinvio la sentenza impugnata. La pronuncia appena esaminata consente di svolgere alcune considerazioni di più ampio respiro, dal momento che i principi ivi esposti sono applicabili anche ad altri strumenti di pianificazione, in primis al trust. È molto frequente, infatti, che nelle pianificazioni patrimoniali si indichino, quali beneficiari degli strumenti di pianificazione, in modo generico gli eredi legittimi. Si tratta, tuttavia, di un rinvio che non tiene conto delle implicazioni giuridiche e patrimoniali connesse alle sopravvenienze (ad esempio la morte del beneficiario prima dello stipulante), con il rischio concreto che la ricchezza sia spostata in modo divergente rispetto alle effettive volontà del cliente della cui pianificazione si tratta. A ben vedere, tornando al caso concreto affrontato dalle Sezioni Unite, se solo lo stipulante avesse indicato nominativamente i propri fratelli quali beneficiari dell’assicurazione la ripartizione delle quote sarebbe avvenuta in un modo totalmente differente. Nel dettaglio, la sorella avrebbe acquistato il diritto di credito immediatamente e lo avrebbe quindi trasmesso iure hereditatis ai propri figli, alla morte dello stipulante quindi l’indennizzo sarebbe stato diviso in due quote uguali e non per teste. Affinché una pianificazione patrimoniale sia il più possibile aderente alle richieste e alle esigenze del cliente, è necessario un controllo delle sopravvenienze e, pertanto, uno sforzo di precisione in più da parte del professionista, il quale in futuro difficilmente potrà prescindere dalla sentenza in commento.