Con la risposta in commento, l’Agenzia delle Entrate (“AdE”) assume una posizione innovativa rispetto a precedenti orientamenti di prassi, consentendo ad una società figlia residente di distribuire dividendi, in esenzione da ritenuta, alla società madre svizzera, pur in difetto del requisito dell’holding period biennale ad hoc, previsto dall’accordo tra la Comunità Europea e la Confederazione Svizzera siglato il 26 ottobre 2004 (“Accordo”). L’istanza veniva proposta da una società di capitali residente in Italia, ammessa al regime di adempimento collaborativo ed interamente posseduta da un’ulteriore società di capitali con sede legale in Svizzera. L’intento dell’Istante era quello di distribuire i propri dividendi alla madre fruendo dell’esenzione da ritenuta alla fonte (di cui all’art. 27 del d.P.R. 600/73), pur nella consapevolezza che la stessa avesse acquisito le relative partecipazioni al capitale in tempo relativamente recente, ossia prima del decorso del periodo minimo di due anni, previsto dall’art. 9 dell’Accordo, per fruire dell’esenzione medesima[1]. All’uopo, la contribuente faceva notare che la disposizione richiamata non richiede espressamente che il possesso continuato per due anni della partecipazione al capitale debba essere già terminato al momento del pagamento del dividendo; secondo tale prospettazione, le ragioni del Fisco sarebbero comunque state tutelate nell’evenienza in cui la società madre avesse alienato le quote prima del decorso dell’holding period, stante in quel caso la sopravvenienza dell’obbligo di versare la ritenuta non assolta in precedenza. A sostegno della sua tesi, la contribuente richiamava le conclusioni a cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea era pervenuta in ordine all’analoga previsione di esenzione da ritenuta sui dividendi contenuta nell’art. 5 della Direttiva 90/435/CEE (c.d. “Direttiva Madre-Figlia”). I giudici europei, nella c.d. sentenza Denkavit[2], hanno infatti stabilito il principio per cui gli Stati membri non possono subordinare la concessione dell’esenzione de qua alla condizione che, al momento della distribuzione degli utili, la società madre abbia detenuto la partecipazione nella consociata per il periodo minimo fissato dalla Direttiva medesima; nondimeno “gli Stati membri sono liberi di determinare, tenuto conto delle necessità del loro ordinamento giuridico interno, i criteri per garantire l’osservanza di tale periodo”. Sulla scorta di tale ultimo inciso, l’AdE in numerosi documenti di prassi aveva riaffermato con forza il rifiuto a concedere l’esenzione de qua prima dell’effettivo decorso dell’holding period, adducendo a motivazione “problematiche di carattere operativo, legate al fatto che non sarebbe possibile un’azione efficace di controllo sulle posizioni delle società che hanno omesso l’applicazione della ritenuta”[3]. Sennonché l’Istante, preso atto che medio tempore non vi sono stati mutamenti di prassi sull’argomento, invitava l’Ufficio a riconsiderare la propria posizione, alla luce delle peculiarità del caso concreto e segnatamente sulla scorta del regime di adempimento collaborativo al quale essa era stata ammessa. Dal canto suo, l’AdE ribadisce i motivi per i quali non può essere riconosciuta, in via generalizzata, l’esenzione da ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti da una società figlia alla società madre prima del decorso dell’holding period, tanto nel contesto delineato dalla Direttiva Madre-Figlia quanto di quello a cui si riferisce l’Accordo. Infatti, “qualora la non applicazione della ritenuta sui dividendi distribuiti venisse direttamente riconosciuta dal sostituto d’imposta sulla base di una semplice dichiarazione di voler mantenere il requisito della detenzione ininterrotta per almeno un anno della partecipazione qualificata, non sarebbe agevole vigilare a posteriori sul mantenimento dell’”impegno” assunto dal socio che ha pagato i dividendi”, giacchè quest’ultimo “non avrebbe alcun potere-dovere di riscontro e la stessa Amministrazione finanziaria incontrerebbe difficoltà nell’attivare controlli efficaci”. Nondimeno l’AdE, accogliendo la tesi della contribuente, osserva che il regime di adempimento collaborativo[4] funzionalmente si presta a colmare la generalità delle problematiche che hanno determinato la succitata linea rigida. L’istituto infatti, prevedendo l’adozione di forme di comunicazione e di cooperazione rafforzate tra contribuente e Ufficio basate sul reciproco affidamento, “ivi inclusa l’anticipazione del controllo, finalizzata ad una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali”, consentirebbe nel caso concreto all’Agenzia di conoscere istantaneamente la sopravvenienza di fatti che possano determinare il recupero dell’imposta (con riferimento, segnatamente, alla dismissione della partecipazione prima del termine di periodo minimo di detenzione). A fronte dei doveri di estrema trasparenza sulle vicende societarie che possono riguardare il contribuente, l’Ufficio deve per converso impegnarsi a realizzare “specifiche semplificazioni degli adempimenti tributari, in conseguenza degli elementi informativi forniti dal contribuente nell’ambito del regime”[5]. Posto tale impegno, l’Agenzia delle Entrate ritiene possa rientrare, tra le semplificazioni citate, la concessione di operare la distribuzione dei dividendi in esenzione da ritenuta, come prevista dall’art. 9 dell’Accordo, anche se in capo alla percipiente non è ancora maturato il requisito temporale relativo alla detenzione della partecipazione della consociata residente in Italia. La risposta in commento può indubbiamente generare importanti ripercussioni di ordine pratico. Essa non solo attesta un importante rinvigorimento delle possibilità offerte dall’adesione all’istituto dell’adempimento collaborativo, ma le sue conclusioni si prestano ad essere pacificamente applicate anche nelle più frequenti ipotesi di distribuzioni di dividendi contemplate dalla Direttiva Madre-Figlia. [1] L’accordo tra la Comunità Europea e la Confederazione Svizzera del 26 ottobre 2004 che stabilisce misure equivalenti a quelle definite nella direttiva 2003/48/CE del Consiglio in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi è stato recentemente emendato dal Protocollo di modifica del 19 dicembre 2015. All’esito di ciò, la disciplina relativa ai pagamenti di dividendi, interessi e canoni tra società, contenuta originariamente all’interno dell’art. 15 dell’Accordo, è stata trasfusa all’interno dell’art. 9, a cui si riferisce la risposta ad interpello in argomento. [2] Sentenza CGUE del 17 ottobre 1996, cause riunite C-283/94, C-291/94 e C-292/94. [3] Cfr. Circolare n. 60/E del 19 giugno 2001 e Risoluzione n. 109/E del 29 luglio 2005. [4] Disciplinato dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128. [5] Cfr. art. 5 del D.lgs. 128/2015.