Novità di prassi sul Regime Impatriati

14 Ottobre 2021

Nel mese di settembre l’Agenzia delle entrate (“Agenzia” o “Ufficio”) è intervenuta sul tema del regime speciale per lavoratori impatriati (“Regime Impatriati”), previsto dall’articolo 16 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (“Decreto Internazionalizzazione”), precisando la propria posizione su alcune questioni controversie tramite la pubblicazione di tre documenti di prassi. Segnatamente, si fa riferimento alla:

  1. risposta a interpello del 16 settembre 2021, n. 594, avente a oggetto la possibilità per i c.d. “contro-esodati” di esercitare l’opzione per il prolungamento di ulteriori cinque periodi d’imposta del beneficio;
  2. risposta a interpello del 16 settembre 2021, n. 596, sulla fruibilità dell’agevolazione i per i soggetti che si trasferiscono in Italia per lavorare da remoto (c.d. “smart working”);
  3. risposta a interpello del 23 settembre 2021, n. 621, relativa all’ipotesi di un lavoratore estero, già beneficiario del Regime Impatriati che, a causa del blocco degli spostamenti dovuto dallo scoppio della pandemia da Covid-19, è stato costretto a lavorare in remoto nel Paese estero di provenienza.

Risposta a interpello 16 settembre 2021, n. 594

I cittadini italiani c.d. “contro-esodati[1] non possono prolungare per ulteriori cinque periodi d’imposta i benefici previsti dal Regime Impatriati se non sono stati iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (“A.I.R.E.”) durante il periodo di residenza fiscale all’estero.

Questo è, in estrema sintesi, il contenuto della risposta a interpello in commento.

L’istante è un cittadino italiano contro-esodato che nel 2017, avvalendosi della disposizione ex articolo 16, comma 4, del Decreto Internazionalizzazione, ha esercitato l’opzione per aderire al Regime Impatriati. Lo stesso chiede, dunque, chiarimenti all’Agenzia in ordine alla possibilità di accedere all’opzione prevista dall’art. 1, c. 50, della Legge di Bilancio 2021 (legge 30 dicembre 2020, n. 178) per fruire del Regime Impatriati per un ulteriore quinquennio.

L’Agenzia preliminarmente rileva che, ai sensi dell’art. 5, c. 2-bis, del Decreto Crescita (d.l. 30 aprile 2019, n. 34), i soggetti contro-esodati, per fruire del Regime Impatriati, devono:

  • essere iscritti all’A.I.R.E. o essere cittadini di Stati membri dell’Unione europea;
  • avere trasferito la residenza prima del 30 aprile 2019;
  • essere già beneficiari, a far data dal 31 dicembre 2019, del Regime Impatriati medesimo.

A parere dell’Agenzia, quindi, la summenzionata disposizione non contiene limitazioni dell’ambito soggettivo di esercizio dell’opzione da parte delle persone fisiche che hanno trasferito la residenza fiscale in Italia prima del 30 aprile 2019 e che alla data del 31 dicembre 2019 già beneficiavano del regime agevolativo in questione: per tale ragione, in presenza di tali requisiti, i contro-esodati possono esercitare l’opzione senza alcun tipo di preclusione.

Ciò posto, la risposta analizza il requisito dell’iscrizione all’A.I.R.E., fornendo un’interpretazione che appare criticabile sotto molteplici profili.

In prima battuta, sembra che l’Agenzia non sia intenzionata ad accordare alcuna rilevanza a detto requisito. Viene affermato, infatti, da un lato, che la suddetta iscrizione non era presente né tra i requisiti per fruire degli incentivi per i contro-esodati, né tra quelli per accedere al regime di cui all’art. 16, c. 4, del Decreto Internazionalizzazione; e, dall’altro lato, che l’art. 16, c. 5-ter, del Decreto Internazionalizzazione prevede che possono beneficiare di detto regime i cittadini italiani rientrati in Italia dal 1° gennaio 2020, anche se non iscritti all’A.I.R.E..

Nondimeno, una volta fatte queste premesse, l’Agenzia conclude invece che i contro-esodati non iscritti all’A.I.R.E. durante il periodo di residenza fiscale all’estero non possono esercitare l’opzione per l’ulteriore quinquennio agevolabile.

Così argomentando, tuttavia, l’Agenzia sembra dare risalto a un requisito formale (l’iscrizione all’A.I.R.E.) che non è invece richiesto dalla disposizione agevolativa primaria (l’art. 16, c. 5-ter del Decreto Internazionalizzazione). Inoltre, è la stessa Agenzia ad avere precisato, nell’ambito della Circolare del 4 maggio 2012, n. 14/E[2], che per i contro-esodati la ridetta iscrizione non assume alcuna rilevanza, se il soggetto ha svolto effettivamente un’attività di lavoro o di studio all’estero.

Risposta a interpello 16 settembre 2021, n. 596

A parere dell’Agenzia il Regime Impatriati è fruibile anche dai soggetti che si trasferiscono da un Paese estero in Italia per ivi svolgere attività lavorativa in regime di smart working. E ciò perfino in continuità del rapporto di lavoro che intrattenevano anche all’estero.

La fattispecie riguarda il caso di un cittadino italiano, residente all’estero dal 2013 e iscritto dal 2019 all’A.I.R.E., che lavora dal 2016 alle dipendenze di una società statunitense. Lo stesso intende trasferirsi in Italia con il proprio nucleo familiare per continuare a svolgere l’attività lavorativa alle dipendenze della medesima società in modalità smart working.

L’Agenzia, richiamandosi al paragrafo 7.5 della Circolare del 28 dicembre 2020, n. 33/E (che è l’ultimo documento di prassi contenente i chiarimenti interpretativi dell’Ufficio sulla disciplina agevolativa in commento alla luce delle modifiche legislative intervenute), afferma che “[l]’articolo 16, come modificato dall’articolo 5, comma 1, del decreto legge n. 34 del 2019, non richiede che l’attività sia svolta per un’impresa operante sul territorio dello Stato” e che, dunque, “possono accedere all’agevolazione i soggetti che vengono a svolgere in Italia attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti (in caso di lavoro autonomo o di impresa) siano stranieri (non residenti)”.

A ben vedere, però, con tale risposta l’Agenzia si pone in totale controtendenza (e, per certi versi, in contraddizione) rispetto alla posizione assunta sul punto nei precedenti documenti di prassi. Nella stessa Circolare n. 33/E del 2020, infatti, al paragrafo 7.1 l’Ufficio precisa che la possibilità di beneficiare del Regime Impatriati da parte di un lavoratore distaccato all’estero che rientra in Italia viene ammessa in talune ipotesi ben circoscritte. Tra queste, a titolo esemplificativo, rientra il caso in cui il trasferimento in Italia non si ponga in continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia, in quanto il dipendente assume un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario in ragione dell’esperienza e delle competenze maturate all’estero.

Inoltre, nonostante la posizione dell’Agenzia nella risposta in commento sia evidentemente pro-contribuente, non può sottacersi che la stessa appare in contrasto con lo spirito stesso della disciplina agevolativa in questione. La finalità del Regime Impatriati è, infatti, quella di attirare risorse umane in Italia al fine di favorire lo sviluppo economico dello Stato e, nello specifico, l’internazionalizzazione delle imprese che operano in esso.[3] Per fruire del beneficio sembrerebbe, quindi, necessario che il contribuente trasferitosi in Italia si integri nel tessuto economico e sociale del nostro Paese.

Risposta a interpello 23 settembre 2021, n. 621

Nella risposta in oggetto, l’Agenzia sostiene che il soggetto già beneficiario del Regime Impatriati non può fruire dell’abbattimento del reddito imponibile per l’anno del 2020 se ha lavorato da remoto nel proprio Paese di origine a causa del blocco degli spostamenti dovuto dall’emergenza sanitaria.

Nel caso in esame l’istante è una multinazionale italiana che agisce in qualità di sostituto d’imposta e chiede chiarimenti sull’applicazione a un suo dipendente del Regime Impatriati. In particolare, quest’ultimo era residente in Italia e già beneficiario dell’agevolazione in questione. Tuttavia, nel febbraio del 2020 (al momento dello scoppio in Italia della pandemia da Covid-19), lo stesso aveva deciso di rientrare in Olanda, suo Paese di origine.

L’Agenzia rileva che il Regime Impatriati risulta applicabile ai soli redditi che si considerano “prodotti nel territorio dello Stato”. A tale riguardo, a parere della stessa con “luogo di prestazione” dell’attività lavorativa, nel caso dello smart working, “bisogna avere riguardo al luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato”. L’Ufficio conferma la posizione già espressa in altri documenti di prassi[4] fondata sulla valorizzazione della presenza fisica del lavoratore, escludendo nel caso di specie l’applicazione dell’agevolazione ai redditi erogati al dipendente per il periodo d’imposta 2020.

Come nel caso della risposta a interpello n. 596, dunque, l’Agenzia sembra fissare il principio per cui al fine dell’applicazione del Regime Impatriati è necessario che il soggetto sia fisicamente presente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta, a nulla rilevando l’inquadramento contrattuale e la continuità del rapporto con il proprio datore di lavoro.

Tale apertura da parte dell’Ufficio permetterà ai lavoratori di imprese estere, in possesso dei requisiti previsti dall’art. 16 del Decreto Internazionalizzazione, di trasferirsi in Italia beneficiando della detassazione del 70% o del 90% (nell’ipotesi di trasferimento in una delle regioni del Centro Sud Italia) del reddito di lavoro dipendente prodotto nel nostro Paese.

 

 

 

[1] Si fa riferimento, nello specifico, ai soggetti che hanno fruito dei benefici fiscali previsti dalla legge 30 dicembre 2010, n. 238, per il rientro dei lavoratori in Italia.

[2] Tale documento di prassi, peraltro, è espressamente richiamato nella Circolare dell’Agenzia del 23 maggio 2017, n. 17/E – che ha fornito i primi chiarimenti sull’applicazione della disciplina del Regime Impatriati.

[3] Agenzia delle entrate, Circolare 23 maggio 2017, n. 17/E, premesse; Camera dei Deputati, Servizio Studi, Misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese, Schema di D.Lgs. n. 161-bis, n. 165/1, 28 luglio 2015, p. 22.

[4] Agenzia delle entrate, risposta a interpello 15 settembre 2021, n. 590; Agenzia delle entrate, risposta a interpello 7 luglio 2021, n. 458; Agenzia delle entrate, risposta a interpello 17 maggio 2021, n. 345.

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