Con l’ordinanza interlocutoria n. 33312 del 2021 in commento, la Corte di Cassazione rimette al Primo Presidente delle Sezioni Unite la questione relativa alla tassazione in misura fissa a titolo di imposta di registro degli atti di scissione in favore di società semplici ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. b) della Tariffa Parte Prima (TP1) allegata al Dpr n. 131/1986 (TUR). Punto decisivo è stabilire se il riferimento contenuto nella predetta norma agli "atti degli enti aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali od agricole" per l’applicazione dell’imposta in misura fissa sia relativo solo agli enti diversi dalle società oppure si riferisca ad ogni tipodi società ed ente, con la conseguenza che laddove il riferimento riguardi ogni tipo di società od ente, le scissioni in favore di società semplici (che per definizione non svolgono attività commerciale) sarebbero sempre soggette ad imposta di registro proporzionale nella misura del 3% ai sensi dell’art.9 TP1. La rimessione alle Sezioni Unite origina dal ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate a fronte della sentenza della CTR Friuli Venezia Giulia che, condividendo le osservazioni del giudice di prime cure, affermava l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa prevista dall’art. 4, comma 1, lett. b) TP1 anche alle scissioni in società semplici. In particolare, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. b) TP1 agli “…atti propri delle società di qualunque tipo ed oggetto e degli enti diversi dalle società, compresi i consorzi, le associazioni e le altre organizzazioni di persone o di beni, con o senza personalità giuridica, aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole…”, si applica l’imposta in misura fissa con riguardo alle operazioni straordinarie di cui tali società o enti sono oggetto. La CTR e la CTP concordano che l’art. 4 in commento, riferisca il requisito “dell’esercizio dell’attività commerciale o agricola” solo agli enti diversi dalle società, atteso che la norma nella sua formulazione prevede l'applicazione dell’imposta fissa agli atti propri delle società di “qualunque tipo ed oggetto” prevedendo poi l’estensione di tale agevolazione anche gli enti diversi dalle società aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole. Tuttavia, come anticipato, l’Agenzia delle Entrate ha impugnato dinnanzi la Suprema Corte la sentenza del giudice di appello per violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 1, lett. b) TP1, “…per avere ritenuto che la natura commerciale o agricola dell'oggetto, quale presupposto dell'imposizione in misura fissa degli atti di scissione, riguardi solo gli enti diversi dalle società, non queste ultime…”. La Suprema Corte, investita della questione, pone in evidenza l’esistenza di orientamenti dottrinali diametralmente opposti con riguardo all’interpretazione dell’art. 4, comma 1, TP1, rilevando dunque che non vi è certezza sull’ambito applicativo della norma in commento. In particolare, secondo una prima soluzione interpretativa, che ricorre esclusivamente al criterio letterale, “…gli atti di scissione tra società di qualunque tipo ed oggetto sono soggetti ad imposta di registro in misura fissa, mentre, con riferimento agli enti non societari, l'atto di scissione è tassato in misura fissa solo se essi hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole…”. Al riguardo, si argomenta che ritenere che la locuzione aventi “oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale o agricola”, si riferisca anche alle società renderebbe inutile l’incipit dell’art. 4 che concerne gli atti tra società di “qualunque tipo o oggetto”. A sostegno di tale interpretazione, inoltre, l’orientamento in commento rinvia al codice del Terzo settore (Dlgs. 117/2017) che all’art. 82 relativo alle imposte indirette e tributi locali, prevede che la disposizione del citato articolo, che assoggetta ad imposta di registro fissa le operazioni di scissione poste in essere dagli enti del terzo settore, non si applica alle "imprese sociali costituite in forma di società". Ne deriverebbe che, tale esclusione avrebbe ragion d’essere solo laddove la lex generalis ex art. 4, comma 1, TP1 trovi applicazione con riguardo alle operazioni di scissione coinvolgenti società di qualunque tipo e oggetto a prescindere dall’esercizio dell’attività commerciale o agricola. Secondo il filone dottrinale avallato dall’Agenzia delle Entrate nel proprio ricorso, invece, per procedere alla corretta interpretazione dell’art. 4, comma 1, TP1 bisogna prendere le mosse dall’inciso contenuto nella norma (compresi i consorzi, le associazioni e le altre organizzazioni di persone o di beni, con o senza personalità giuridica) che è inserito tra “atti propri delle società di qualunque tipo ed oggetto e degli enti diversi dalle società” e “aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale o agricole”. A parere di tale orientamento: “…l’uso della virgola prima della proposizione " aventi per oggetto…" serve appunto a riferire la limitazione riguardante l'oggetto sia alle società che agli enti diversi sicché ai fini dell'applicazione dell'imposta in misura fissa anche le società devono avere per oggetto l'esercizio di attività commerciale o agricola…”. Inoltre, a suffragare tale impostazione la dottrina rileva che il rinvio operato dalla nota III dell'art. 4 della TP1 all'art. 9 della Tariffa presuppone che ci siano società che non esercitando attività commerciale o agricola risultano estranee all'applicazione dell'art. 4 citato, con conseguente applicazione dell’aliquota proporzionale del 3%. Premessi gli orientamenti dottrinali contrapposti, pare evidente che dall’applicazione di una o dell’altra interpretazione dell’art. 4, comma 1, lett. b) discendano rilevanti conseguenze in materia di imposta di registro, in quanto il primo filone interpretativo ritiene che le scissioni in società semplici debbano essere tassate con imposta fissa di 200 euro, al contrario il secondo orientamento dottrinale ritiene debba trovare applicazione l’imposta proporzionale nella misura del 3%. Ne consegue che, a prescindere da questioni dogmatiche, è evidente l’importanza pratica della questione, soprattutto a fronte del fatto che la Suprema Corte con l’ordinanza interlocutoria in commento rileva che i giudici di legittimità si sono occupati della questione in rarissime occasioni e peraltro convenendo con quello orientamento dottrinale per cui l’art. 4, comma 1, TP1 si applica esclusivamente alle società o enti che svolgono attività commerciale o agricola. In particolare, l’ordinanza interlocutoria, nel rimettere la questione al Primo Presidente, richiama da ultimo l’ordinanza n. 227 del 12.1.2021 ove si afferma che “…l'imposta di registro relativa a fusione o incorporazione di enti, si applica in misura fissa, ai sensi dell'art. 4 lett. b), della tariffa allegata al DPR n. 131 del 1986, nei casi in cui la fusione riguardi enti e società svolgenti esclusivamente o principalmente attività commerciale o agricola, mentre si applica l'imposta proporzionale del 3 per cento, prevista dall'art. 9 della medesima tariffa, qualora l'operazione riguardi enti svolgenti attività diverse da quelle commerciali o agricole…”. Per completezza, pare opportuno rilevare che l’orientamento dottrinale che ritiene che gli atti di cui all’art. 4, comma 1, TP1 relativi a società che non svolgano attività commerciale o agricola debbano essere tassati con imposta proporzionale, è condiviso anche dalla prassi amministrativa. In un caso oggetto di interpello – non pubblicato - , la DRL ha infatti precisato che sono soggetti all'imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera b), TP1 le operazioni di fusione poste in essere tra società̀ od enti aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività̀ commerciale o agricola; nella fattispecie in concreto oggetto di esame la DRE ha tuttavia concluso che riguardo all’imposta di registro avrebbe dovuto trovare applicazione l’agevolazione prevista dall’art. 1, comma 737, primo periodo, L. 147/2013[1] che dispone l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa in ragione della natura di particolare rilevanza dell’ente. Alla luce di quanto sopra, dunque, è evidente che la futura pronuncia a Sezioni Unite potrà indubbiamente generare importanti ripercussioni di ordine pratico. Essa, infatti, chiarirà “definitivamente” il corretto ambito applicativo dell’art. 4, comma 1, lett. b) con la conseguenza che laddove le Sezioni Unite dovessero propendere per l’interpretazione seguita dall’Agenzia delle Entrate e dai precedenti di legittimità, non solo le scissioni, ma tutti gli atti societari riguardanti società semplici che non esercitano attività agricola, richiamati dall’art. 4, comma 1, TP1 (e.g. i conferimenti, le assegnazioni, etc.) dovrebbero scontare l’imposta di registro con aliquota proporzionale del 3%, in luogo della più agevolativa imposta fissa di euro 200. [1] Art. 1, comma 737, L. 147/2013: “Agli atti aventi ad oggetto trasferimenti gratuiti di beni di qualsiasi natura, effettuati nell'ambito di operazioni di riorganizzazione tra enti appartenenti per legge, regolamento o statuto alla medesima struttura organizzativa politica, sindacale, di categoria, religiosa, assistenziale o culturale, si applicano, se dovute, le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna"