Confisca dei beni presso terzi solo se è provata l’attuale disponibilità del condannato

1 Marzo 2022

Nei reati tributari per procedere alla confisca per equivalente presso terzi è necessario provare che, nonostante la cessione, il condannato abbia ancora la disponibilità del bene. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione Penale con sentenza n. 4456 del 19 gennaio 2021.

Il legale rappresentante della M. spa veniva condannato in appello per omesso versamento Iva. Con la medesima sentenza il giudice del gravame confermava la confisca per equivalente disposta su taluni beni che l’appellante aveva donato ai figli prima che sui medesimi fosse disposto il sequestro conservativo.

L’imprenditore impugnava la decisione innanzi la Suprema Corte dolendosi, tra l’altro, dell’avvenuta conferma della confisca per equivalente sui beni donati ai figli, non avendo i giudici di merito dimostrato che lo stesso avesse ancora la disponibilità dei beni ex art. 12-bis D.lgs. 74/2000.

La Suprema Corte, innanzitutto, precisa che ai sensi dell’art. 12-bis citato, per i reati tributari è sempre disposta la confisca diretta dei beni che costituiscono il prezzo o il prodotto del reato ovvero quando non sia possibile quella per equivalente di beni aventi il medesimo valore. Tuttavia, la confisca deve riguardare beni che appartengono al condannato o dei quali lo stesso abbia la disponibilità anche se “formalmente” tali beni siano in proprietà di terzi.

In tema di confisca per equivalente, infatti, per disponibilità si intende il “possesso” dei beni, seppure i poteri di fatto sulla cosa siano esercitati tramite soggetti terzi. In altri termini, si ha disponibilità dei beni quando il disponente si comporta sui beni ceduti come se fosse ancora l’effettivo proprietario.

Ciò posto, la Corte evidenzia che nel caso di specie è indubbio che il ricorrente abbia trasferito la titolarità dei beni confiscati ai figli, prima che su di essi fosse disposto provvedimento di sequestro conservativo. Altrettanto indubbio, e non contestato, è che i figli fossero soggetti estranei al reato.

Secondo la Corte, i giudici di merito avrebbero erroneamente confermato la misura cautelare della confisca sul presupposto che la donazione fatta dall’imprenditore ai figli fosse meramente strumentale “in quanto diretta a sottrarre i beni alla garanzia patrimoniale dell’ingente obbligazione tributaria” sussistente in capo alla società.  A sostegno di tale conclusione, infatti, non era stata fornita alcuna prova.

In particolare, da un lato, i giudici d’appello avrebbero immotivatamente escluso la buona fede del donante e dei donatari, e dall’altro sancito “la finalità indubbiamente strumentale” della donazione attraverso un indimostrato “consilium fraudis” dei donatari. Peraltro, la procura non aveva contestato il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11 Dlgs. 74/2000 e quindi non si poteva indagare se il trasferimento fosse stato fittizio o reale.

A parere della Corte, ai fini della dimostrazione della artificiosità della donazione e quindi della permanenza della disponibilità dei beni in capo al condannato, non è sufficiente il mero fatto della cessione, dovendo essere provato che lo stesso eserciti sui beni poteri assimilabili a quelli del proprietario. L’imprenditore, infatti, potrebbe avere effettivamente trasferito il bene ai figli, senza averne mantenuto la disponibilità al solo fine di preferire a quella dell’erario la posizione economica di altri.

La decisione di appello, quindi si fondava su una “ipostasi meramente assertiva e priva di affidabilità”, pertanto la Suprema Corte ha accolto il ricorso e annullato la sentenza impugnata con riguardo al provvedimento di confisca per equivalente.

La pronuncia è di particolare interesse in quanto richiede ai giudici di merito un maggior sforzo di valutazione dei fatti contestati e delle prove addotte per disporre la confisca per equivalente.

La confisca del bene, infatti, può essere disposta nei confronti dei terzi cessionari solo ove si dimostri che il cedente eserciti ancora poteri dispositivi sulla res ceduta, ovvero, se contestato il delitto di cui all’art. 11 D.lgs. 74/2000, si riesca a provare la fittizietà del trasferimento in danno all’erario.

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