L’Agenzia delle Entrate (“AdE”), nella risposta n. 244 del 2022, ha esaminato la questione dell’applicabilità dell’esenzione di cui all'art. 19 della legge n. 74 del 1987 (“Esenzione”), in caso di convivenza di fatto. La questione concerneva in particolare il trasferimento a favore di uno dei conviventi della quota di metà dell'immobile adibito a residenza della famiglia di fatto, al fine di regolare i reciproci rapporti in occasione della crisi familiare e della conseguente cessazione della convivenza.
L'articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 dispone un’esenzione ai fini dell’imposta di bollo, di registro e di ogni altra tassa con riferimento a tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi allo scioglimento del matrimonio o alla cessazione degli effetti civili dello stesso (sentenza n. 176 del 15 aprile 1992; sentenza n. 154 del 10 maggio 1999; cfr. anche circolare n. 27/E del 21 giugno 2012). Il medesimo regime trova applicazione con riferimento ai cd. “accordi di negoziazione assistita” di cui all'articolo 6 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 (cfr. risoluzione n. 65/E del 16 luglio 2015). L’Esenzione è applicata anche alla cessazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in virtù del rinvio di portata generale di cui all’art. 1 comma 20 della legge 20 maggio 2016, n. 76 (cd. "Legge Cirinnà").
La finalità dell’Esenzione è quella di agevolare l'accesso alla tutela giurisdizionale, evitando che l'imposizione fiscale possa gravare sui coniugi rendendo ancora più difficile il superamento della crisi familiare (cfr anche Corte Costituzionale sentenza 11 giugno 2003, n.202).
Si pone il problema di stabilire se l’Esenzione sia applicabile anche in caso di scioglimento della convivenza di fatto.
Come noto, le convivenze di fatto «conviventi di fatto» sono definiti come “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile". (cfr. art. 1, comma 36).
Prima dell’entrata in vigore della Legge Cirinnà le convivenze di fatto venivano in rilievo solo in singole di disposizioni di legge attributive di specifici diritti ai conviventi, purché ricorressero i requisiti ivi indicati. Si pensi: alla pensione di guerra; al permesso accordato al condannato di far visita al convivente di fatto in pericolo di vita; e al diritto del convivente di astenersi dal rendere una testimonianza, relativamente ai fatti appresi in costanza di convivenza, ai sensi dell’art. 199 c.p.c..
La Legge Cirinnà, invece, ha introdotto per la prima volta una disciplina organica regolando aspetti che in passato erano risultati particolarmente controversi, quali: il diritto di visita in caso di malattia, il diritto di assistenza e di accesso alle informazioni personali, il diritto di nominare il proprio convivente quale rappresentante in caso di malattia.
Degno di rilievo è il diritto di abitazione attribuito dall’art. 1 comma 42 della Legge Cirinnà al convivente superstite, per il caso in cui l’altro convivente fosse proprietario della casa adibita a residenza familiare. Il diritto di abitazione ha una durata proporzionata alla durata della convivenza di fatto e comunque non superiore a cinque anni.
A tutela del convivente economicamente più debole, inoltre, l’art. 1 comma 65 della Legge Cirinnà prevede il diritto di ricevere gli alimenti dall’altro convivente in caso di bisogno, per un periodo proporzionato alla durata della convivenza di fatto.
Per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento “alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223” (cfr. art. 1, comma 37). I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza". Tali contratti "sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata", e possono indicare anche la residenza comune, le modalità di contribuzione alla vita familiare e il regime patrimoniale prescelto.
Il contratto di convivenza non tollera l’apposizione di termini o condizioni, qualora i conviventi li abbiano comunque previsti nel contratto di convivenza si considereranno come non apposti. Il contratto può essere risolto in qualsiasi momento per mutuo consenso o per recesso unilaterale Configurano, invece, ipotesi di risoluzione di diritto la morte di uno dei conviventi, il matrimonio o l’unione civile tra i conviventi stessi o tra uno dei conviventi e un terzo.
La cessazione del contratto di convivenza determina lo scioglimento della comunione dei beni qualora, in costanza del contratto, le parti avessero optato per tale regime patrimoniale.
Come detto, alla luce dell’introduzione della suddetta disciplina, all’Ade è stato richiesto di esprimersi sull’applicabilità dell’Esenzione al caso dello scioglimento della convivenza di fatto. La risposta dell’Ade è stata negativa in quanto, da un lato, non è previsto un procedimento specifico per tale scioglimento. Dall’altro lato, secondo l’AdE, tale scioglimento non sarebbe assimilabile agli “accordi di negoziazione assistita”.
La soluzione prospettata dall’AdE è in linea di principio condivisibile, quantomeno in base all’attuale assetto normativo. Infatti, le fattispecie alle quali si applica l’Esenzione sono tutte ipotesi caratterizzate da specifici formalismi, espressamente disciplinati dal legislatore. Risulta difficile applicare analogicamente l’Esenzione ad una fattispecie (lo scioglimento della convivenza di fatto) priva di qualsiasi regolamentazione.
Resta salvo che la disciplina della convivenza di fatto è stata pur sempre introdotta nell’ottica di dare un minimo riconoscimento anche alle famiglie non fondate sul matrimonio. Sembra dunque irragionevole, seppure conforme alla disciplina vigente, escludere lo scioglimento della convivenza di fatto dall’Esenzione, quantomeno in relazione alle convivenze di fatto regolate dal contratto di convivenza. Nel caso preso in esame dall’Ade, ad esempio, dalla relazione tra i conviventi di fatto sono nati due figli, pertanto, la ratio sottesa all’Esenzione, ovvero quella di agevolare il superamento della crisi familiare, appare senz’altro applicabile.
La soluzione di tale questione potrebbe essere forse trovata sollevando la relativa questione davanti alla Corte Costituzionale. Nell’ambito del giudizio di costituzionalità, la Corte Costituzionale potrebbe, forse a ragione, prendere atto dell’irragionevolezza del trattamento deteriore applicato allo scioglimento della convivenza di fatto e così intervenire con una sentenza additiva.