Con il D.L. 19 maggio 2020 n. 34 (così detto “Decreto Rilancio”) il legislatore, al fine di incentivare l’investimento nel capitale delle piccole e medie imprese non quotate ha introdotto lo strumento dei PIR ALTERNATIVI che si affiancano ai Pir ordinari.
La disciplina dei PIR ALTERNATIVI prende le mosse dalle disposizioni previste per i PIR, ossia, nello specifico dall’art. 1, commi dal 100 al 114 della Legge 11 dicembre 2016 n. 232 (così detta “Legge di Bilancio 2017), tuttavia norme specifiche dispongono previsioni ad hoc.
I PIR ALTERNATIVI hanno i seguenti limiti di composizione, concentrazione e liquidità:
• almeno il 70% del portafoglio (c.d. quota obbligatoria), deve essere investito in strumenti finanziari emessi o stipulati con aziende italiane o dell’Unione Europea o del Settore Economico Europeo purché abbiamo una stabile organizzazione in Italia, diverse da quelle inserite negli Indici di Borsa FTSE MIB e FTSE MID CAP o ulteriori indici equivalenti di altri mercati regolamentati. Per strumenti finanziari si intendono equity, debito o crediti;
• per il restante 30% l’investimento è libero;
• non più del 20% può essere investito con lo stesso emittente o altra società appartenente al medesimo gruppo e nel computo di tale percentuale vengono considerati anche i familiari che possiedano una partecipazione nella medesima società o gruppo;
• non si può investire in paesi non collaborativi;
• la liquidità non può essere superiore al 20% delle somme investite nel piano. L’investimento in conti correnti non potrà superare il 20% e quello in depositi titoli non potrà superare il 20%. Questo vuol dire che nell’ambito della quota libera del 30% se il 20% è occupato da conti correnti, ad esempio, solo il 10% potrà essere sottoscritto in depositi.
I limiti di composizione, concentrazione e liquidità sopra esposti devono essere rispettati per almeno 2/3 dell’anno solare (8 mesi su 12 o 243/244 giorni su 365/366).
Il rispetto di tali condizioni comporta per la persona fisica investitore, la detassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria di cui agli artt. 44 e 67, c. 1, lett. c-bis), c-ter), c-quater) e c-quinquies) del TUIR, nonché l’esenzione dall’imposta sulle successioni relativa agli strumenti finanziari che compongono il piano in caso di successione mortis causa.
Se tali condizioni non vengono rispettate, si realizza la decadenza e l’invalidità del PIR ALTERNATIVO.
Soffermandosi sui limiti di composizione, l’Amministrazione finanziaria con le circolari n. 3/2018 e 12/2021 ha chiarito che sono escluse dal regime in questione:
• i redditi di capitale che concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente;
e
• i redditi di capitale e i redditi diversi derivanti da partecipazioni che sono considerati “qualificate” ai sensi dell’art. 67, c. 1, lett. c) Tuir (ossia quelle partecipazioni che comportano diritto di voto in assemblea ordinaria pari o superiore al 2% o al 20% ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio pari o superiore al 5% o al 25%). Nella determinazione della natura “qualificata” della partecipazione va tenuto conto delle percentuali di partecipazione o diritti di voto possedute dai familiari della persona fisica. L’Agenzia delle Entrate ha altresì precisato che sebbene la legge bilancio 2018 ha equiparato le partecipazioni qualificate a quelle non qualificate, ciò non rileva ai fini della disciplina sui PIR.
A fronte di tale affermazione, ci si può domandare se sono esclusi dall’ambito di applicazione del regime agevolato anche i redditi derivanti dai contratti di associazione in partecipazione “qualificati”. Ciò in quanto, sebbene tali redditi non siano espressamente citati nella circolare dall’Amministrazione finanziaria sono tuttavia menzionati dall’art. 67, c. 1, lett. c) Tuir.
Tale norma infatti assimila alle partecipazioni qualificate, le cessioni dei contratti di cui all’art. 109, c. 9, lett. b) e cioè i contratti di associazione in partecipazioni c.d. qualificati (valore dell’apporto superiore al 5% o al 25% del valore di patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato prima della data di stipula del contratto).
Pertanto, sembrerebbero esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina PIR (quantomeno dalla c.d. quota obbligatoria) gli investimenti in contratti di associazione in partecipazione qualificati effettuati direttamente da persone fisiche. E ciò nonostante i redditi derivanti dai contratti di associazione in partecipazione qualificati e non qualificati non concorrono a formare il reddito complessivo della persona fisica in quanto scontano la ritenuta al 26% in forza dell’art. 27, Dpr n. 600/73. Si ritiene, quindi, prudenzialmente che i contratti di associazione in partecipazioni qualificati possano rientrare nella c.d. quota libera del 30%.
Concludendo, si rileva che posto che il discrimen ai fini dell’esclusione dal regime PIR è individuato dall’Agenzia delle Entrate nella natura “qualificata” delle partecipazioni, gli investimenti in contratti di associazione in partecipazione non qualificati, ossia il cui valore dell’apporto è inferiore al 5% o al 25% del valore di patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato prima della data di stipula del contratto, dovrebbero poter essere inclusi nella “Quota Obbligatoria”.