L’annosa questione della tassazione per il collezionista d’opere d’arte: la legge delega mira ad una svolta definitiva?

14 Aprile 2023

Da sempre discusso è il regime fiscale delle plusvalenze derivanti dalla compravendita d’opere d’arte o di beni da collezione, specie se il cedente è un collezionista che non svolge attività commerciale per professione abituale. L’art. 67, c. 1, lett. i) del Tuir, infatti, qualifica tra i redditi diversi anche quelli “occasionali” derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente. Ma non esiste – o meglio non esiste più - una disciplina fiscale ad hoc che specifichi quando l’attività di compravendita d’opere d’arte svolta dal privato rilevi ex sè ai fini impositivi.
Fino all’introduzione del TUIR, vigeva infatti l’art.76 del Dpr. n. 597/73 che dava rilievo alle plusvalenze derivanti da operazioni effettuate con fini speculativi e non rientranti nel reddito d’impresa, qualificando come tali per presunzione assoluta “l’acquisto e la vendita di oggetti d’arte, di antiquariato o in genere da collezione” se tra l’acquisto e la vendita non fossero trascorsi almeno due anni. Il conteggio del biennio permetteva quindi di determinare “con certezza” quando la plusvalenza (reddito) ritratta dalla compravendita potesse assumere rilievo ai fini impositivi.
Nulla questio, quando l’attività di compravendita effettuata dal privato ha i requisiti di imprenditorialità di cui all’art. 55 Tuir, il reddito conseguito costituirà reddito d’impresa derivante da “un esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva delle attività indicate nell’art. 2195 anche se non organizzate in forma di impresa”.
Tutto si gioca quindi sul confine tra attività amatoriale di compravendita e attività commerciale. Ciò ha dato adito nel tempo ad un notevole contenzioso.
La questione è stata oggetto di un’interrogazione parlamentare, ove con risposta n. 5-1718/2019 è stato affermato che affinchè l’attività di compravendita possa rilevare fini dell’applicazione dell’art. 67, c. 1, lett. i), “è necessario provare lo svolgimento di un’attività commerciale, ancorché di carattere occasionale”. La cui dimostrazione, tuttavia, implica complesse attività di analisi che tengano conto anche dello svolgimento di una pluralità di atti da parte del collezionista, anche compiute in diversi anni, “tra loro collegati e preordinati al conseguimento di un reddito attraverso la cessione dei beni in questione”.
Ne consegue che il criterio guida per comprendere se si verte o meno nello svolgimento di attività commerciale occasionale dovrebbe essere individuato nella volontà speculativa del privato che intende trarre un profitto dall’attività di compravendita delle opere d’arte.
In tal senso, potrà essere considerata rientrante nell’ambito dell’art. 67 citato l’attività del collezionista che acquista e rivende le opere sul mercato realizzando un intento speculativo. Ciò in quanto l’acquisto e la rivendita costituirebbero atti collegati e preordinati al conseguimento di un reddito. Di contro, non costituirebbe attività rilevante ai sensi dell’art. 67 Tuir, la cessione di un bene prezioso ricevuto a titolo di donazione o per successione. La successiva rivendita non celerebbe, infatti, un fine lucrativo.
Di recente, sul tema è intervenuta la Suprema Corte che nel dare risposta al quesito circa la configurazione dell’attività commerciale anche non occasionale, preso atto che il TUIR non prevede una tassazione specifica sulla tassazione delle compravendite d’opere d’arte maturate da privati, distingue tra l’attività del “mercante d’arte”, dello “speculatore occasionale” e del “collezionista”.
Il mercante d’arte è un imprenditore commerciale. La commercialità emerge infatti dalla reiterazione di atti di acquisto e rivendita oggettivamente suscettibili di essere qualificati come attività d’impresa. In altri termini, è mercante d’arte colui che professionalmente e abitualmente esercita il commercio di opere d’arte “col fine ultimo di tratte un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere”. In tal caso il reddito prodotto è reddito d’impresa.
Lo speculatore occasionale è colui che acquista occasionalmente opere d’arte “per rivenderle allo scopo di conseguire un utile”. L’attività dello speculatore occasionale quindi rientra nell’art. 67, c. 1, lett. i) TUIR con conseguente tassazione sulla plusvalenza maturata.
Di contro, il privato collezionista che da un lato certamente non svolge attività d’impresa. Dall’altro, non svolge attività commerciale occasionalmente esercitata ai fini dell’art. 67. Il collezionista è colui che acquista le opere per scopi culturali, “con lo scopo di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza”. Il collezionista, quindi, non è mosso da una finalità speculativa ma dal piacere di possedere le opere. Ne consegue che, il collezionista che cede l’opera d’arte non consegue dalla compravendita un reddito assoggetto a tassazione.
La Cassazione conferma dunque la necessità dell’indagine circa l’intento speculativo o meno perseguito dal contribuente.
In tale contesto, si inserisce la legge delega di riforma fiscale approvata dal Consiglio dei Ministri lo scorso 16 marzo. La riforma mira infatti “all’introduzione della disciplina sulle plusvalenze conseguite dai collezionisti, al di fuori dell’esercizio dell’attività d’impresa, di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, nonché più in generale, di opere dell’ingegno di carattere creativo appartenenti alle arti figurative, escludendo i casi in cui è assente l’intento speculativo, compresi quelli delle plusvalenze relative ai beni acquisti per successione e donazione”.
In altri termini, la legge delega mira ad attrarre tra i redditi diversi di natura finanziaria i redditi conseguiti dal collezionista che agisce con intento speculativo e ciò non solo quando si configuri ex sé un’attività di acquisto e successiva rivendita del bene, ma anche quando i beni sono pervenuti al collezionista per donazione o successione.
Al di fuori di queste ipotesi, saranno invece esclusi dalla tassazione ex art. 67 Tuir “i casi in cui è assente l’intento speculativo perché ad esempio le plusvalenze realizzate sono relative a beni acquisiti a seguito di successione e donazione, è stata effettuata una permuta con altri oggetti o opere o il corrispettivo conseguito sia reinvestito entro un congruo lasso temporale in altri beni rientranti nella disciplina in esame”.

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