La sentenza della Corte di Cassazione n. 12813/2023, in commento, è di grande interesse in quanto esamina una questione che non è mai stata affrontata dalla giurisprudenza in precedenza. Si tratta, in particolare, della sorte delle donazioni ricevute da un legittimario che abbia poi deciso di rinunciare all’eredità e al quale siano subentrati i propri discendenti per rappresentazione.
La vicenda trae origine da una donazione, avente ad oggetto un complesso immobiliare, effettuata da un padre in favore dei propri figli. Non riuscendo a trovare un accordo per la divisione dei beni, uno dei figli si rivolge al giudice per ottenere la divisione giudiziale del donatum.
Il giudizio di primo grado si conclude con la sentenza dichiarativa dello scioglimento della comunione sorta in conseguenza della donazione. In secondo grado la Corte d’Appello, nel confermare la sentenza impugnata, precisa che la comunione dei beni oggetto di causa non abbia natura ereditaria, originando da un atto inter vivos e a nulla rilevando la circostanza che il donante sia ormai deceduto.
La parte soccombente nei giudizi di merito propone ricorso per Cassazione che, tuttavia, viene dichiarato inammissibile per invalidità della procura speciale.
La Suprema Corte decide comunque di esaminare le questioni di diritto sollevate con il ricorso, non rilevando l’esistenza di precedenti giurisprudenziali sul punto.
Di fatto, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 521 c.c. e 552 c.c. nella parte in cui la sentenza di secondo grado non ha considerato che, all’esito della morte del donante e della successiva rinuncia all’eredità da parte di uno dei donatari, i figli di quest’ultimo siano subentrati al proprio ascendente per rappresentazione anche nella donazione effettuata dal de cuius ancora in vita.
Nel dettaglio, ai sensi dell’art. 521 c.c. colui che rinunzia all’eredità ha il diritto di ritenere le donazioni ricevute sino alla concorrenza della porzione disponibile dell’eredità, fatto salvo quanto previsto dall’art. 552 c.c.. Quest’ultima norma dispone che, ove il rinunziante sia anche un legittimario, può trattenere le donazioni nei limiti della disponibile, tuttavia, qualora la quota di riserva spettante agli altri legittimari non sia stata rispettata, il legittimario rinunciante sarà il primo soggetto a subire l’azione di riduzione eventualmente esperita dai legittimari.
In altri termini, il legittimario che abbia ricevuto delle donazioni dal de cuius è tenuto ad imputare le donazioni stesse alla propria quota di legittima, salvo esplicita dispensa. Nel caso in cui dovesse decidere di rinunciare all’eredità, in base al combinato disposto delle norme sopra richiamate, il legittimario può trattenere quanto ricevuto dal de cuius in vita, tuttavia, le donazioni non saranno più imputate alla quota di riserva ma graveranno sulla porzione disponibile dell’eredità. In sostanza, la scelta del legittimario di rinunciare all’eredità ha ripercussioni negative sugli altri eredi, in particolare quelli destinatari di disposizioni testamentarie e legati gravanti sulla disponibile. Ciò perché se la disponibile viene erosa dalle donazioni ricevute dal legittimario rinunciante, in caso di lesione della riserva spettante ai legittimari, i suddetti eredi sarebbero i primi ad essere convenuti in giudizio per la riduzione delle disposizioni testamentarie e dei legati dei quali sono destinatari. Come noto, infatti, le donazioni sono aggredibili per riduzione, procedendo dalla più recente alla più risalente, solo se la riduzione delle disposizioni testamentarie e dei legati non sia stata sufficiente a reintegrare la legittima lesa.
Per rimediare a questo squilibrio il legislatore ha previsto che in un’ipotesi di tal fatta, e in deroga alle regole di cui agli artt. 553 c.c. e ss., le prime disposizioni a dover essere aggredite per riduzione siano le donazioni ricevute dal legittimario rinunciante.
L’operatività del meccanismo descritto non suscita alcun dubbio ermeneutico in dottrina e in giurisprudenza.
Il caso affrontato dalla Suprema Corte nella sentenza in commento presenta tuttavia un elemento ulteriore: al legittimario che abbia ricevuto una donazione e che abbia poi deciso di rinunciare all’eredità del donante sono subentrati i propri discendenti per rappresentazione.
L’art. 552 c.c. non sembra offrire una soluzione in questo caso, nel testo della norma si legge infatti “quando non si ha rappresentazione”. Il ricorrente sfrutta allora questo inciso ponendolo a sostegno della propria tesi.
In particolare, il ricorrente, aderendo a una dottrina minoritaria, ritiene che quando opera la rappresentazione i rappresentanti, che subentrino all’ascendente nell’eredità che questi non può o non vuole accettare, subentrano altresì nella titolarità dei beni donati al rappresentato dal de cuius. Ciò si evincerebbe dall’art. 564 c.c. in forza del quale il rappresentante deve imputare alla propria quota tutto quanto ricevuto dal proprio ascendente a titolo di donazione o di legato, salvo espressa dispensa.
Al fine di evitare che i rappresentanti debbano imputare alla propria quota beni che in verità non hanno mai ricevuto, una parte della dottrina ha ritenuto che il legittimario rinunciante al quale subentrino i rappresentanti non avrebbe il diritto di trattenere le donazioni ricevute dal de cuius, che sarebbero invece trasmesse automaticamente ai rappresentanti.
Da tutto quanto sopra, il ricorrente ha concluso che i beni donati dal de cuius siano stati trasferiti ex lege ai rappresentanti, ovvero ai figli del donatario, nel momento stesso in cui il donatario ha deciso di rinunciare all’eredità. Per l’effetto, il giudizio di divisione avrebbe dovuto essere instaurato nei loro confronti quali litisconsorti necessari.
La Suprema Corte, che pure ha riconosciuto l’importanza della questione in quanto mai affrontata in precedenza dalla giurisprudenza, ha ritenuto di non poter aderire alla tesi esposta dal ricorrente. Se, infatti, operasse un meccanismo ex lege che consentisse ai rappresentanti di subentrare nella titolarità dei beni donati dal de cuius, la commerciabilità dei beni di provenienza donativa ne risulterebbe ulteriormente compromessa, ponendosi gravi problemi di tutela del terzo acquirente.
La Corte di Cassazione, in conclusione, aderisce alla tesi dottrinaria prelevante e stabilisce il seguente principio di diritto: “Ai sensi dell'art. 552 il legittimario che rinuncia all'eredità ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire i legati a lui fatti, anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto dei legati o delle donazioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando però l'onere di questi ultimi di dover imputare le stesse disposizioni alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis.”
In definitiva, in assenza di rappresentazione le donazioni ricevute dal legittimario rinunciante gravano sulla disponibile, in caso di rappresentazione gravano sulla quota di riserva, in ogni caso il legittimario rinunciante potrà trattenere quanto ricevuto.
La soluzione prospettata dai giudici di legittimità è in effetti quella maggiormente coerente con il sistema nel suo complesso. Se i rappresentanti non fossero obbligati a imputare alla propria quota quanto ricevuto dall’ascendente e potessero così pretendere l’intera quota di riserva, conseguirebbero in sede successoria più di quanto sarebbe spettato al rinunciante, dando origine a diversi profili di iniquità.