Per la Cgt di Treviso residenza fiscale all’estero anche con immobile e iscrizione anagrafica in Italia

28 Luglio 2023

La Corte di Giustizia tributaria (“Cgt”) di I grado di Treviso, con la sentenza n. 44 del 2023, ha risolto un conflitto di doppia residenza riconoscendo la residenza fiscale all’estero del Contribuente anche se quest’ultimo era proprietario di un bene immobile in Italia e risultava essere iscritto all’anagrafe dei residenti. A parere dei giudici di prime cure, infatti, “il criterio per accertare la residenza fiscale convenzionale non può che fondarsi su situazioni fattuali da cui poter individuare l’effettivo luogo ove il soggetto ha stabilito il proprio centro di interessi vitali”.

La pronuncia muove dall’impugnazione di due atti impositivi per l’anno 2015 con cui l’Agenzia delle Entrate disconosceva la residenza fiscale in Romania del contribuente, e per l’effetto accertava un maggior reddito Irpef, nonché la violazione degli obblighi dichiarativi relativi all’Ivie e all’Ivafe. Secondo l’Agenzia delle Entrate il contribuente doveva considerarsi residente fiscale in Italia ai sensi dell’art. 2 TUIR. Ciò in quanto, risultava iscritto all’anagrafe della popolazione residente (“ARP”) ed era proprietario di un immobile in Italia, indipendentemente dal fatto che i redditi di lavoro dipendente provenissero da società rumene.

Ai sensi dell’art. 2 TUIR, infatti, si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni) sono iscritte all’ARP ovvero hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza. Nel caso di specie, quindi, i presupposti di residenza dovevano ritenersi pienamente soddisfatti. Inoltre, dalla disamina della sua posizione fiscale emergeva che il contribuente in passato era stato titolare di partita Iva e avesse presentato nelle annualità dal 2010 al 2012 le dichiarazioni dei redditi in Italia con evidenza di quanto percepito dalla Romania. Di contro, il contribuente eccepiva il possesso della residenza fiscale in Romania.

La Cgt di Treviso, in ragione del concorso di residenza fiscale tra i due Stati, risolveva il conflitto applicando le c.d. tie breaker rules di cui alla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e la Romania. Ai sensi dell’art. 4, par. 2, quando una persona è considerata residente in entrambi gli Stati, per individuare la residenza effettiva bisogna verificare (a) in quale Stato dispone di una abitazione permanente. Se si dispone di una abitazione permanente in entrambi i Paesi, la residenza si radica nel luogo in cui il contribuente ha il centro delle “sue relazioni personali ed economiche”; (b) se non si può determinare lo Stato nel quale la persona ha il centro dei suoi interessi vitali, egli si considera residente nello Stato in cui soggiorna abitualmente.

Nel caso de quo, il contribuente era proprietario di un immobile sia in Italia che in Romania ed entrambe erano astrattamente qualificabili quali abitazioni permanenti. Pertanto, la Cgt ha risolto la questione analizzando il presupposto degli interessi vitali e concludendo che il centro delle “relazioni personali ed economiche” del ricorrente fosse in Romania.

In primis, in Romania si radicava il fulcro degli interessi economici. Ciò si desumeva dal fatto che il contribuente era assunto alle dipendenze di datori di datori di lavoro rumeni e che i relativi redditi erano tassati in tale Stato. Inoltre, in Romania il contribuente aveva anche il centro dei suoi interessi personali. Era spostato con una donna rumena, la loro figlia era nata in Romania e ivi frequentava le scuole dell’obbligo.

Su tali presupposti secondo i giudici tributari trevigiani quindi, “risulta evidente che la residenza ed il centro vitale degli interessi del Sig. (...) sia da individuare in Romania, con la conseguenza che il medesimo soggetto debba essere assoggettato a tassazione solo in Romania”.

La sentenza in esame conferma la prevalenza dei criteri convenzionali su quelli interni, con superamento, in presenza di una convenzione contro la doppia imposizione, del criterio formale dell’iscrizione all’ARP. Tale criterio sembra essere stato superato anche da parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione e dell’Agenzia delle Entrate (cfr. risp.  370/2023 e giurisprudenza ivi citata).

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