Il minore concepito all’estero mediante procreazione medicalmente assistita da parte di una coppia omoaffettiva ha un diritto fondamentale al riconoscimento giuridico del legame sorto con il c.d. genitore intenzionale e tale esigenza è garantita attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari. È quanto statuito dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 23527 pubblicata lo scorso 2/8/2023, in attuazione del principio di diritto enunciato dalla medesima Corte a Sezioni Unite nella sentenza n. 38162 del 30/12/2022. Il caso nasce dal ricorso proposto da una donna, la quale aveva intrapreso con la propria compagna un percorso di procreazione medicalmente assistita in Spagna, con il consenso scritto di entrambe, utilizzando il gamete maschile di un donatore anonimo e gli ovuli di una delle donne. La procedura c.d. “eterologa” è stata eseguita all’estero dal momento che il ricorso a tale tecnica è consentita in Italia solo alle coppie maggiorenni di sesso diverso coniugate o conviventi (ex art. 5 Legge 19/2/2004, n. 40) al solo fine di porre rimedio a problematiche di infertilità o sterilità.Dopo la nascita del bambino, l’ufficiale dell’anagrafe aveva formato l’atto di nascita procedendo alla trascrizione della dichiarazione di nascita resa dalla madre biologica e aveva iscritto l’atto con cui la compagna, il genitore d’intenzione, aveva dichiarato di voler riconoscere come proprio figlio il bambino nato con P.M.A.. In accoglimento del ricorso presentato dalla Procura della Repubblica, il Tribunale di Belluno ha dichiarato non legittime le trascrizioni e le annotazioni concernenti la posizione del genitore d’intenzione, ordinandone la cancellazione. La Corte d’Appello di Venezia ha poi respinto il reclamo con decreto del 5/5/2021 e la questione è così giunta in Cassazione dove il genitore intenzionale ha denunciato la violazione del best interest del minore, sostenendo che la cancellazione della trascrizione dell’atto di nascita aveva leso il superiore interesse del bambino nato dal progetto procreativo dei genitori. In proposito, l’esclusione delle coppie formate da persone dello stesso sesso dalla tecnica della P.M.A. è stata ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale. La vicenda è stata portata all’attenzione della Consulta perché a due donne unite civilmente (una delle quali aveva concepito all’estero mediante P.M.A. un figlio nato in Italia) era stata negata la possibilità di registrare nell’atto di nascita che il bambino fosse figlio di entrambe. Ciò ha portato alla remissione di una questione di legittimità costituzionale di una serie di articoli censurati per violazione delle norme costituzionali e internazionali sui diritti del fanciullo, poiché ritenute lesive dei diritti della madre e del minore nella parte in cui escludono la registrazione nell’atto di nascita del bambino come figlio di entrambe e, pertanto, determinerebbero un’irragionevole discriminazione per motivi di orientamento sessuale. Con la sentenza n. 230 del 4/11/2020 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, precisando che l’art. 5 della Legge 40/2004 nella parte in cui esclude dalla P.M.A. le coppie formate da persone dello stesso sesso non determina una discriminazione basata sull’orientamento sessuale: infatti, la Corte EDU si è espressa nel senso che una legge nazionale che riservi il ricorso all’inseminazione eterologa a coppie eterosessuali sterili, attribuendole una finalità terapeutica, non può essere considerata fonte di una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti delle coppie omosessuali (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sentenza 15/3/2012, Gas e Dubois contro Francia)[1]. Nella sentenza n. 23527/2023, la Suprema Corte aderisce al principio già precedente espresso dalla medesima Corte (Cass. civ. n. 22179/2022; Cass. civ. n. 7668/2020; Cass. civ. n. 6383/2022; Cass. civ. n. 7413/2022) secondo cui “in caso di concepimento all’estero mediante l’impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, la domanda volta ad ottenere la formazione di un atto di nascita recante quale genitore del bambino, nato in Italia, anche il c.d. genitore intenzionale, non può trovare accoglimento, poiché il legislatore ha inteso limitare l’accesso a tali tecniche alle situazioni di infertilità patologica, fra le quali non rientra quella della coppia dello stesso genere”. Prosegue poi la Corte sostenendo che in tali casi l’istituto che più si presta a realizzare a pieno il preminente interesse del minore al riconoscimento giuridico del legame affettivo instaurato e vissuto col genitore d’intenzione è l’adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d) della Legge 4/5/1983 n. 184. Lo stesso principio era stato confermato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza del 30/12/2022, n. 38162. Invero, il caso ha riguardato non la tecnica di P.M.A., ma la procedura di maternità surrogata praticata all’estero. Si noti che nel nostro ordinamento la maternità surrogata è considerata reato ai sensi dell’art. 12, comma 6, L. 40/2004 e punita con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da €600.000,00 a un milione di euro. Ebbene, la Suprema Corte ha in proposito statuito che, dal momento che la pratica della maternità surrogata è contraria all’ordine pubblico internazionale in quanto offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, ne deriva che “non è automaticamente trascrivibile il provvedimento giudiziario straniero, e a fortiori l’originario atto di nascita, che indichi quale genitore del bambino il genitore d’intenzione, che insieme al padre biologico ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione nel Paese estero, sia pure in conformità della lex loci […]. L’ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d)”. Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite in materia di maternità surrogata è stato avallato dalla Corte EDU con riferimento alle pratiche di P.M.A.. Nella sentenza 22/6/2023 n. 10810 la Corte ha riunito i ricorsi presentati da due coppie omosessuali femminili, che contestavano il rifiuto opposto dalle autorità italiane di trascrivere nei registri dell’anagrafe i certificati di nascita esteri di bambini legalmente concepiti in altri stati tramite la P.M.A., veto che, ad avviso dei ricorrenti, violerebbe l’articolo 8 della Convenzione Europea sui Diritti Umani, sul diritto al rispetto della vita privata e familiare. In tale pronuncia la Corte EDU ha evidenziato come, nell’esercizio dell’ampia discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri in relazione ai mezzi di accertamento e riconoscimento della filiazione, l’Italia abbia legittimamente individuato l’adozione in casi particolari come strumento per il riconoscimento del legame tra il figlio e il genitore d’intenzione. [1] Anche la giurisprudenza di legittimità ha confermato che non è consentito – al di fuori dei casi tassativamente ammessi dalla legge – il ricorso a forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico: il riconoscimento di un minore concepito mediante il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di una donna legata in unione civile con quella che lo ha partorito, ma priva di legami biologici con il minore, si pone infatti in contrasto con l’art. 4, comma 3, L. 40/2004, nonché con l’esclusione del ricorso a tali tecniche da parte di coppie omosessuali (Cass. civ. 23/8/2021, n. 23320).