Reimpatriati: reazione agli abusi o svuotamento dell’agevolazione? 

30 Ottobre 2023

Il regime relativo ai cd. “reimpatriati” contenuto nella circolare 28 dicembre 2020, n. 33/E dell’Agenzia delle entrate e nell’articolo 16, d.lgs.n. 14 settembre 2015, n. 147, che ha per la prima volta introdotto la misura in oggetto.

La normativa definisce i requisiti soggettivi ed oggettivi necessari per accedere al regime speciale dei lavoratori impatriati. In particolare, il regime in questione prevede una significativa detassazione del reddito per i lavoratori, non residenti fiscalmente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti, che trasferiscono la residenza fiscale nel Paese per almeno due anni. In tal caso i redditi di lavoro dipendente e assimilati, i redditi di lavoro autonomo e d’impresa, se prodotti in Italia, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% del loro ammontare per cinque periodi di imposta.

Il beneficio fiscale può essere esteso ad ulteriori cinque anni, se il lavoratore rientrato diventa proprietario di un’unità immobiliare residenziale in Italia o se il lavoratore ha almeno un figlio minorenne o a carico. In presenza di queste condizioni, i redditi prodotti concorrono alla formazione della base imponibile Irpef, limitatamente al 50% dell’ammontare per i successivi cinque periodi di imposta.

L’art. 7, comma 1 della bozza di D.Lgs. in tema di fiscalità internazionale incide significativamente sul predetto regime. In base alla bozza di D.Lgs., la detassazione in questione opererà entro il limite di 600.000 euro annui, nei limiti del 50% del reddito. Al fine di beneficiare del predetto regime è necessario che:

  1. i lavoratori non siano stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a risiedere fiscalmente nel territorio dello Stato per almeno 5 anni;
  2. l’attività lavorativa viene svolta nel territorio dello Stato in virtù di un nuovo rapporto di lavoro con un soggetto diverso da quello presso il quale il lavoratore era impiegato all’estero prima del trasferimento, nonché da quelli appartenenti al suo stesso gruppo.
  3. l’attività lavorativa è prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato.
  4. i lavoratori sono in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

Inoltre, qualora la residenza fiscale in Italia non sia mantenuta per almeno cinque anni consecutivi al trasferimento, il lavoratore decade dai benefici e l’Amministrazione finanziaria provvede al recupero di quelli già fruiti con applicazione delle relative sanzioni e interessi.

E’ evidente che il Legislatore intende modificare la disciplina in esame nell’ottica di evitare utilizzi abusivi dell’agevolazione in questione.

La necessaria residenza all’estero nei tre anni precedenti è finalizzata a scongiurare i fenomeni di trasferimento strumentale della residenza fiscale dall’Italia all’estero per poi beneficiare del regime a seguito del rientro.

Il limite di 600 mila euro e la riduzione della percentuale di detassazione è finalizzata a limitare di concedere eccessivi vantaggi fiscali a redditi elevati.

La preclusione relativa a coloro che continuano sostanzialmente il rapporto di lavoro con il precedente datore è finalizzata probabilmente anch’essa a scongiurare fenomeni di trasferimento fittizio della residenza. Lo stesso dicasi per il necessario svolgimento della prestazione di lavoro nel territorio italiano.

Il meccanismo di recapture risponde alla finalità di garantire che il regime trovi applicazione solo con riferimenti che si inseriscono stabilmente all’interno del sistema produttivo italiano.

Pur prendendo atto delle esigenze di cautela fiscale alla base delle modifiche proposte, esse suscitano più di una perplessità. La volontà dell’ordinamento di reagire agli abusi posti in essere negli anni passati si è tradotto in una misura di eccessiva severità che rischia di determinare effetti deteriori.  

L’incentivo in questione è infatti, finalizzato ad attrarre talenti in Italia e favorire il reingresso di coloro che hanno abbandonato il nostro Paese. L’eccessivo restringimento del perimetro applicativo dell’agevolazione, in questo contesto, rischia di frustrare tali finalità.

Particolarmente critica è a tale proposito la disposizione sul recapture. Il periodo di lock up previsto (cinque anni) è eccessivamente lungo. Nell’attuale mercato del lavoro nessun soggetto non residente può prevedere la permanenza in Italia per un periodo tanto esteso. La norma rischia di essere un deterrente all’accesso al regime.

Ciò tenendo conto in particolari della onerosità, quasi iperbolica, di un eventuale recapture. La norma prevede oltreché il recupero dell’imposta “risparmiata”, anche l’irrogazione delle relative sanzioni. Sotto il profilo interpretativo, andrebbe peraltro chiarito se tali sanzioni irrogabili riguardano la mancata dichiarazione (in questo caso, il contribuente dovrebbe di fatto versare il doppio di quanto non pagato) o il mancato versamento (30%).

Censurabile appare inoltre la disposizione secondo cui la norma trova applicazione a coloro che trasferiscono la loro residenza a decorrere dal 2024. In tal modo, l’agevolazione è preclusa per coloro che si sono trasferiti in Italia nella seconda metà del 2023 facendo affidamento di beneficiare del regime dal 2024, una volta acquistata la residenza in Italia. In tal modo, viene frustrato il legittimo affidamento di tali soggetti nella stabilità della disciplina.

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