Con l’ordinanza n. 25690 del 4 settembre 2023, la Corte di cassazione si è pronunciata in materia di split year, escludendo l’applicazione del criterio del frazionamento del periodo di imposta nei casi in cui la Convenzione applicabile non lo preveda espressamente. Il caso A seguito del trasferimento in Francia nel luglio 2012 del ricorrente, noto ex calciatore del Milan, si genera un conflitto di residenza: in Italia, in virtù dell’art. 2, comma 2, del TUIR, ai sensi del quale è residente il soggetto che per 183 giorni (184 negli anni bisestili) sia iscritto all’anagrafe della popolazione residente o abbia sul territorio italiano domicilio o residenza; in Francia, in applicazione dell’art. 166 del Code général des impôts, il quale prevede che la persona debba considerarsi residente a partire dal giorno di stabilimento nel territorio francese. Il fenomeno di doppia residenza così creatosi determinava un fenomeno di doppia imposizione. Ciò in quanto il calciatore, essendosi trasferito dopo 183 giorni di permanenza in Italia, era ivi considerato residente per l’intero periodo di imposta. Questi era inoltre considerato residente in Francia a decorrere dal trasferimento. Viene così presenta istanza di rimborso IRPEF, rigettata da entrambe le corti di merito, per le imposte versate in Italia per il periodo successivo al trasferimento all’estero. Secondo il contribuente, si sarebbe dovuto applicare il paragrafo 2 dell’articolo 4 della Convenzione tra Italia e Francia, il quale prevede diversi meccanismi per evitare la doppia imposizione (tie breaker rule). E, ove anche tale disposizione non fosse stata sufficiente a dirimere il conflitto, avrebbe sopperito il principio del frazionamento del periodo di imposta disciplinato dal paragrafo 2.10 del Commentario all’articolo 4 del Modello OCSE. Cosicché, il ricorrente avrebbe dovuto essere considerato residente in Italia fino al momento del trasferimento e residente in Francia per i restanti cinque mesi. La decisione La Suprema Corte, con la decisione in commento, ha rigettato il ricorso. Secondo i giudici di legittimità il paragrafo 2 dell’articolo 4 della Convenzione Italia-Francia è inapplicabile, “poiché il par. 1 dell'art. 4 cit. fa riferimento al concetto di residenza secondo la legislazione propria di ciascuno Stato ed essendo il contribuente per lo Stato italiano residente in Italia per l'intero periodo d'imposta, deve escludersi che possa trovare applicazione nella fattispecie in esame il successivo par. 2, il quale detta il criterio suppletivo invocato dal ricorrente nel caso in cui il contribuente sia residente in entrambi gli Stati”. Oltre a ciò, la Corte non ritiene applicabile neppure il criterio del frazionamento del periodo di imposta delineato nel paragrafo 2.10 del Commentario all’articolo 4 del Modello OCSE, in quanto il Commentario non ha valore normativo, ma costituisce una mera raccomandazione diretta ai Paesi aderenti, i quali, nel delineare la disciplina convenzionale, sono liberi di darvi attuazione. La Corte rileva anche che, nel caso di specie, “le norme interne e convenzionali non presentano alcuno spazio interpretativo da colmare”: infatti, a differenza di quanto previsto nelle Convenzioni con Germania e Svizzera, l’Italia non ha previsto clausole di split year nel Trattato con la Francia, cosicché non vi è spazio per gli orientamenti interpretativi del Commentario. Secondo i giudici di legittimità, la doppia imposizione deve essere eliminata applicando l’articolo 24 della Convenzione, che permette al contribuente di recuperare l’imposta versata in Italia avvalendosi del credito per le imposte assolte all’estero, con l’accredito delle imposte pagate in Italia da quelle dovute in Francia. Così facendo la Suprema Corte confina l’operatività dello split year esclusivamente alle convenzioni che lo prevedono espressamente. In attuazione dell’art. 3 della L. 111\2023 (legge delega per la riforma fiscale), il legislatore sarebbe potuto intervenire sulla disciplina della residenza fiscale, così da renderla “coerente con la migliore prassi internazionale”. Nello specifico, la previsione di una clausola di split year interna avrebbe permesso di risolvere in modo più lineare situazioni come quella delineata dall’ordinanza 25690/2023 in commento. Come emerge, però, dalla bozza del decreto recante la riforma della fiscalità internazionale approvato in via preliminare il 16 ottobre 2023 dal Consiglio dei Ministri, non vi è stata alcuna modifica in questa direzione.