Con la Risposta n. 21 del 2024 l’Agenzia delle entrate ha fornito alcuni chiarimenti in materia di imposta sostitutiva di cui all’art. 24 ter del TUIR prevista per le persone fisiche titolari di redditi da pensione di fonte estera. Il quesito L’istante è un cittadino britannico residente nel Regno Unito, che intende usufruire del regime opzionale di cui all’art. 24 ter del TUIR, ai sensi del quale ai redditi da pensione di cui all’art. 49, co. 2, lett. a), erogati da soggetti esteri e percepiti da persone fisiche che abbiano trasferito in Italia la propria residenza ai sensi dell’art. 2, co. 2 del TUIR in uno dei comuni del meridione espressamente previsti dalla normativa, si applica un’aliquota sostitutiva del 7 per cento. Nel caso specifico, l’istante nel corso della sua carriera lavorativa ha aderito a due sistemi di previdenza complementare (il “Merchant Navy Officers Pension Fund” e il “Financial Assistant Scheme”) offerti dai propri datori di lavoro nel Regno Unito, caratterizzati dall’essere entrambi sottoposti a controllo pubblico e dall’essere finalizzati a garantire una pensione complementare al raggiungimento di una determinata età. L’istante dichiara di aver raggiunto l’età necessaria per maturare il diritto alla percezione di tali somme, e di avere intenzione di trasferire la propria residenza fiscale in Italia. Per quanto riguarda il trasferimento, però, evidenzia come, in un primo periodo, a causa di impegni familiari e lavorativi, ai sensi dell’art. 4, paragrafo 2, della Convenzione con il Regno Unito, risulterà esclusivamente residente nel Regno Unito. Il quesito all’Agenzia riguarda in prima istanza la corretta qualificazione dei proventi derivanti da tali fondi pensionistici quali “pensione di ogni genere” ai sensi dell’art. 49, co. 2, lett. a) del TUIR e, inoltre, se sia sufficiente ai fini dell’applicazione dell’art. 24 ter il trasferimento della residenza fiscale ai sensi dell’art. 2, co. 2 del TUIR, a nulla rilevando che il soggetto risulti residente nel Regno Unito ai sensi della Convenzione applicabile. Il parere dell’Agenzia delle entrate L’Agenzia delle entrate, dopo aver ricostruito la normativa applicabile, sottolinea come ai fini dell’applicazione del regime in esame si debba verificare l’effettivo trasferimento della residenza fiscale in Italia in uno dei Comuni evidenziati dalla normativa, non essendo invece necessario indagare la configurabilità di una situazione in cui il soggetto risulti residente, oltre che in Italia, in uno o più altri Stati. Per quanto riguarda la corretta qualificazione degli emolumenti provenienti dai sistemi di previdenza complementare a cui aderisce il soggetto, l’Agenzia, richiamando la circolare n. 21/E del 2020, afferma che il regime in esame è applicabile: Con particolare riguardo alle prestazioni pensionistiche integrative, erogate da un fondo previdenziale professionale estero o erogate tramite una società di assicurazione estera, corrisposte in forma di capitale o rendita, ad una persona fisica che intenda trasferire la propria residenza fiscale in Italia, una volta maturato il requisito anagrafico richiesto per accedere alla prestazione, devono risultare imponibili in Italia in base alla Convenzione contro le doppie imposizioni di riferimento. Con riferimento al caso di specie, il collegamento con una precedente attività lavorativa, nonché il diritto a percepire i proventi al raggiungimento di una determinata età pensionabile, riconducono gli schemi in esame a quelli pensionistici, anche in relazione alla finalità previdenziale della prestazione. Quindi, considerando il fatto che il soggetto istante non è stato residente in Italia nei 5 periodi di imposta precedenti al trasferimento, che trasferirà la propria residenza in Italia ai sensi dell’art. 2, co. 2 del TUIR e che i proventi percepiti possono considerarsi assimilabili a redditi da pensione, l’Agenzia non segnala particolari ostacoli all’applicazione del regime di cui all’art. 24 ter, sempre che il trasferimento avvenga in uno dei comuni previsti dalla normativa. In conclusione la risposta in esame, pur essendo condivisibile per quanto concerne l’applicazione del regime forfettario ai redditi di interesse, appare particolarmente ambigua per quanto concerne il requisito soggettivo del trasferimento della residenza in Italia. La posizione dell’Amministrazione finanziaria (pur non essendo resa in termini così chiari) pare deporre per la valorizzazione del trasferimento formale della residenza in Italia ai soli fini dell’applicazione del regime. Tuttavia, il trasferimento formale della residenza non accompagnato da connotati di effettività potrebbe, da una parte, portare al disconoscimento del trasferimento stesso con conseguente recapture dei benefici fiscali fruiti, oltre sanzioni ed interessi: in tal senso depone l’affermazione, contenuta nella stessa risposta ad interpello, per cui la circolare n. 21/E/2020 evidenzia “che, per accedere al suddetto regime, è richiesto l'effettivo trasferimento della residenza fiscale in Italia in uno dei Comuni evidenziati dalla normativa. Come chiarito nel citato documento di prassi, considerata la ratio del regime in esame, volta ad attrarre nei Comuni appartenenti al territorio del Mezzogiorno i soggetti titolari di capitali e risorse finanziarie che possono essere investiti nel nostro Paese, la fruizione del beneficio implica l'effettivo trasferimento della persona fisica in Italia”. Tali eventualità non sono purtroppo evitabili per effetto di una risposta ad interpello, posto che in tale sede è precluso all’Ufficio svolgere accertamenti di fatto sulla “sussistenza dei presupposti per stabilire l'effettiva residenza fiscale nonché [sul]la verifica dei requisiti necessari ai fini dell'accesso dei regimi speciali in esame”. Dall’altra parte, la potenziale applicazione delle tie breaker rules, invocabile dallo stesso Regno Unito, ben potrebbe portare ad un fenomeno di doppia imposizione, oltre che sui redditi per i quali è stata presentata l’istanza, sulla globalità dei fatti fiscalmente rilevanti che riguardano il soggetto istante.