L’estensione del regime dei neoresidenti ai familiari dell’istante

15 Aprile 2024

Il presente contributo si propone di esaminare il regime dei “neoresidenti” con particolare riferimento alla possibile estensione dello stesso ai familiari dell’istante.

Ai sensi dell’art. 24-bis del TUIR, è prevista la possibilità di applicare un'imposta sostitutiva pari a 100 mila euro sui redditi prodotti all'estero da persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia. Il soggetto neoresidente può optare per l’applicazione di tale regime a condizione che non sia stato residente in Italia, ex art. 2, co. 2 del TUIR, per almeno nove dei dieci periodi di imposta precedenti all’esercizio dell’opzione.

Il regime ha una validità di 15 anni dal momento in cui viene esercitata l’opzione.

Avendo sempre riguardo all’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 24-bis del TUIR, il co. 6 della norma consente, nel corso del periodo di validità dell’opzione, di estenderne l’efficacia anche a favore di uno o più dei suoi familiari. In tal modo, il legislatore ha voluto facilitare il trasferimento di interi nuclei familiari, per consentire una più diffusa e agevole fruizione del regime, potenziando la portata attrattiva della norma.

In caso di estensione del regime dei neoresidenti ai familiari, l’imposta sostitutiva dovuta da ciascun familiare è pari a 25 mila euro per tutti i redditi prodotti all’estero. La durata dell’estensione è pari ai periodi di validità residui in capo all’istante in via principale.

Il focus del presente contributo riguarda proprio i soggetti ai quali è possibile estendere il regime dei neoresidenti.

Nel dettaglio, il comma 6 dell’art. 24-bis del TUIR dispone che l’estensione può essere applicata ai familiari di cui all'articolo 433 c.c., mentre la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 17 del 2017 a questo riguardo aggiunge anche le persone “con cui è stata stipulata un’unione civile, ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76” (c.d. Legge Cirinnà).

Al fine di individuare correttamente i soggetti ai quali è estensibile il regime in esame, è quindi necessario esaminare l’art. 433 c.c. anche con riferimento alle integrazioni avvenute ad opera della Legge Cirinnà.

In particolare, l’art. 433 c.c. dispone un elenco tassativo e progressivo di classi di soggetti tenuti alla prestazione alimentare secondo un ordine gerarchico che pone al primo posto il coniuge. Se quest’ultimo manca o non è in grado di sopportare l’onere, saranno chiamati gli obbligati di grado successivo, quali nell’ordine i figli (e se assenti, i discendenti prossimi), i genitori (e se mancanti, i nonni o altri ascendenti fino al sesto grado di parentela), alcuni affini (genero, nuora, suoceri) e, in via residuale, i fratelli e le sorelle in concorso tra loro.

Il catalogo dei soggetti obbligati ha subito un ampliamento con l’entrata in vigore della Legge Cirinnà, che ai sensi dell’art. 1 commi 19, 20 e 65 prevede un obbligo alimentare anche in capo alla parte dell’unione civile nonché, a determinate condizioni, in capo al convivente di fatto.

In forza di quanto sopra, la parte dell’unione civile si colloca, nei confronti dell’altra parte dell’unione civile, al pari del coniuge e quindi in cima alla lista dei soggetti obbligati.

Il convivente di fatto, invece, in caso di cessazione della convivenza, è obbligato a prestare gli alimenti nei confronti dell’ex convivente di fatto in via residuale - solo dopo i discendenti e gli ascendenti, ma con precedenza rispetto alla categoria dei fratelli e delle sorelle - e per un tempo limitato, pari alla durata della convivenza.

Perché il suddetto obbligo alimentare dell’ex convivente di fatto sia efficace, si richiede che la convivenza di fatto, anche se non formalizzata, abbia rispettato specifici requisiti indicati dalla Legge Cirinnà e meglio dettagliati dalla giurisprudenza: persone maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e da reciproca assistenza morale e materiale, senza vincolo di parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile (v. sentenza Tribunale di Palermo, 14.4.2020 n. 1271).

Dal quadro sino a qui delineato si evince che la Legge Cirinnà ha apportato una significativa, seppur limitata, innovazione in materia di convivenze, prescrivendo l’obbligo legale alimentare in favore dell’ex convivente che viene a ritrovarsi in stato di bisogno. Per l’effetto, il convivente more uxorio deve essere annoverato tra i soggetti di cui all’art. 433 c.c. alle condizioni stabilite dalla legge.

Alla luce di tutto quanto sin qui detto, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 17 del 2017 rischia di creare confusione sulla questione dell’estensione, poiché nell’individuare i familiari beneficiari del regime fiscale, richiama i soggetti di all’art. 433 c.c. e i soli uniti civilmente ai sensi della Legge Cirinnà. In altri termini, dalla lettera della circolare sembrerebbe esclusa la possibilità per l’istante di estendere il regime dei neoresidenti al proprio convivente di fatto.

Del resto però, l’art. 1, comma 65 della L. 76/2016 prescrive che “ai fini della determinazione dell’ordine degli obbligati ai sensi dell’art. 433 del codice civile, l’obbligo alimentare del convivente […] è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle”, enucleando così i conviventi di fatto nella lista degli obbligati all’assegno alimentare di cui all’art. 433 c.c.

Considerata, dunque, la rivisitazione dell’art. 433 c.c. ad opera della Legge Cirinnà, il richiamo alla norma civilistica dovrebbe già di per sé ricomprendere sia gli uniti civilmente che i conviventi di fatto, propendere per una soluzione differente condurrebbe a restringere indebitamente la sfera di applicazione dell’art. 433 c.c. per come stabilita dal legislatore.

Dal substrato normativo, invece, si evince chiaramente che l’istante possa estendere il regime dei neoresidenti solo ai soggetti ai quali potrebbe egli stesso chiedere gli alimenti ai sensi dell’art. 433 c.c., pertanto, in base a questa impostazione, il regime sarebbe estensibile al proprio convivente di fatto ma non al convivente di fatto dei propri parenti, rispetto al quale non avrebbe alcun diritto alimentare.

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