In materia di agevolazione "impatriati" non può essere precluso il recupero del beneficio non goduto, non costituendo il regime natura opzionale

13 Maggio 2024

Non può essere esclusa al contribuente la possibilità di richiedere a rimborso, anche oltre i termini ordinari di presentazione della dichiarazione, le somme versate a titolo di irpef in eccesso rispetto a quanto spetterebbe applicando il Regime agevolativo previsto per gli Impatriati. Ciò in quanto non può essere considerato un regime opzionale.

La sentenza n. 1118/2024 in commento, resa dalla Corte di Giustizia di II grado della Lombardia, e recentemente depositata, fornisce l’occasione per tornare sulla tematica della c.d. “agevolazione impatriati” di cui all’art. 16 del d.lgs. 147/2015.

L’aspetto peculiare riguarda, probabilmente, il principio fatto proprio dal collegio, secondo cui l’agevolazione in parola non costituirebbe un “esercizio di opzione”, quanto piuttosto una modalità di applicazione dell’imposta.

Nel dettaglio, i fatti di causa possono così riassumersi.

Un contribuente aveva lavorato all’estero (Spagna) in ragione di un contratto di distacco sottoscritto con la propria datrice di lavoro italiana, dal 1° luglio 2018 al 31 dicembre 2020. Successivamente lo stesso faceva rientro in Italia a far data dal 1° gennaio 2021, sottoscrivendo un nuovo contratto di lavoro per la stessa azienda italiana con qualifica da dirigente (non in continuità di funzioni, dunque, rispetto al precedente rapporto di lavoro). Presentava, dunque, istanza di interpello alla Direzione Regionale Lombardia dell’Agenzia delle Entrate, per richiedere conferma circa la sussistenza dei requisiti per usufruire dell’agevolazione prevista dall’art. 16 del d.lgs. 147/2015. L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, rispondeva negativamente ritenendo che la posizione lavorativa assunta al rientro in Italia si ponesse in continuità con la precedente posizione lavorativa ricoperta, pur in presenza si un nuovo contratto di lavoro.

Il contribuente, nonostante il parere negativo reso in risposta all’interpello, proponeva istanza di rimborso della maggiore IRPEF versata in eccedenza per l’anno 2021, impugnando successivamente il silenzio formatosi avverso l’istanza de qua. Ad esito del giudizio di prime cure, da quanto si legge nella sentenza in commento, il collegio adito riconosceva la legittimità della richiesta di rimborso cosi proposta e, constatata la sussistenza dei requisiti, accoglieva il ricorso.

Avverso detta pronuncia proponeva appello l’Agenzia delle Entrate, basato, su quanto si legge, su due motivi. L’A.F. contestava la sentenza nella parte in cui riconosceva la legittimità della istanza di rimborso come strumento per il recupero dell’agevolazione. Secondo l’ufficio, infatti, il contribuente avrebbe dovuto chiedere al sostituto di imposta in sede di applicazione di ritenuta e solo in caso di esito negativo avrebbe dovuto chiederlo a mezzo della dichiarazione e, considerato che risultavano spirati i termini ordinari per la presentazione della dichiarazione per detta annualità, il diritto all’agevolazione era da ritenersi preclusa definitivamente (non riconoscendo, dunque, nemmeno per ipotesi l’utilizzabilità dello strumento della dichiarazione integrativa). In secondo luogo, secondo l’A.F. la sentenza appariva illegittima nella parte in cui aveva riconosciuto la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 16, nonostante a proprio dire mancasse il requisito della “discontinuità” lavorativa tra la posizione assunta in Spagna e quella ricoperta al rientro in Italia.

Il Collegio di seconde cure lombardo ha respinto l’appello di parte erariale.

In merito alla irritualità della domanda di rimborso eccepita dall’A.F., i Giudici hanno precisato come “(…) il versamento di una maggiore imposta per effetto della mancata applicazione di una agevolazione, come quella in oggetto, da parte del sostituto, costituisca una “normale” fattispecie di maggiore versamento di imposta e che, una volta acclarata – indipendentemente dalla genesi del diritto al rimborso e in assenza di una specifica norma preclusiva – da diritto al rimborso, da esercitarsi nelle forme di legge.

Orbene se non vi è dubbio che costituisca diritto del contribuente richiedere l’applicazione della tassazione di favore nella dichiarazione dei redditi, e altrettanto vero che il mancato esercizio di tale diritto in dichiarazione non possa in alcun modo precludere la richiesta di rimborso della maggiore imposta pagata rispetto a quella dovuta, in relazione al possesso dei prescritti requisiti di legge”.

Un passaggio di sicuro interesse, inoltre, si rintraccia nella parte in cui i Giudici Lombardi evidenziano il fatto che “L’agevolazione spettante agli impatriati costituisce una modalità di applicazione dell’imposta e non un’opzione, ossia una scelta tra due regimi (come ad esempio l’opzione tra regime di tassazione ordinario piuttosto che quello forfettario, prevista per la tassazione dei professionisti e delle imprese con volumi di ricavi inferiori a 85.000 euro; opzione che nel caso di specie, implica una valutazione di convenienza che si basa su una pluralità di variabili e che a posteriori si potrebbe rivelare svantaggiosa per il contribuente che l’ha effettuata e pertanto, appare giustificabile la non emendabilità, se non nel limite temporale previsto dalla legge per dare stabilità ai rapporti tributari, attraverso una dichiarazione integrativa da presentarsi entro il termine di 90 giorni dalla scadenza del termine ordinario di presentazione della dichiarazione)”.

In altre parole, i Giudici rigettano la posizione erariale[1] (riproposta in tutti gli atti difensivi prodotti nei giudizi attinenti a tale materia) secondo cui tale regime sia da considerarsi di natura “opzionale” e pertanto non “recuperabile” tardivamente se non esercitato al momento della presentazione della dichiarazione.

Il Collegio, poi, ha ulteriormente ritenuto priva di pregio la tesi dell’Ufficio secondo cui dal mancato riconoscimento dell’agevolazione in sede di applicazione delle ritenute da parte del datore di lavoro (in quanto sostituto di imposta) e dalla successiva mancata presentazione di una dichiarazione dei redditi con riduzione spontanea dell’imposta, dovesse evincersi la manifestazione della mancata volontà di esercitare l’opzione.

Secondo i Giudici, infatti, siffatta argomentazione dell’Ufficio costituisce “un’affermazione del tutto arbitraria, oltre che illogica e incoerente con il dato normativo e con una interpretazione costituzionalmente orientata, sia con il principio di capacità contributiva che con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione che impone all’agenzia delle Entrate di riscuotere sì i tributi in relazione alla capacità contributiva ma non di abusare nel ruolo di creditore come un creditore privato qualsiasi di un ordinario rapporto debito/credito.

In vero, secondo i Giudici “(…) la propria dichiarazione dei redditi mantiene la natura di dichiarazione di scienza, e quindi emendabile anche attraverso istanza di rimborso nei limiti dei 48 mesi previsti dalla legge, e non di volontà (infatti, è del tutto illogico sostenere che il contribuente possa manifestare “la volontà” di pagare un tributo maggiore, avendo la possibilità di scegliere per un regime agevolato)”.

Il Collegio adito, inoltre, ha rigettato anche il secondo motivo di gravame mosso dall’A.F. con riguardo alla presunta mancata sussistenza, nel caso di specie, dei requisiti di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 147/2015.

Al riguardo, ha infatti evidenziato l’avvenuta dimostrazione, da parte del contribuente, della sussistenza dei requisiti richiesti, e messo l’accetto sulla la presenza (in vero ritenuta assenta dall’A.F.) di quell’elemento di discontinuità tra il nuovo rapporto di lavoro e quello di distacco richiesto dalla prassi dell’agenzia delle Entrate. In particolare, i Giudici aditi hanno considerato “(…) illogico e contraddittorio sostenere una presunta “continuità” laddove la contribuente inquadrata nel contratto di distacco all’estero quale quadro, ha assunto nel contratto stipulato al rientro in Italia il ruolo di dirigente. Ruolo quest’ultimo che prevede un regime completamente diverso sia sotto il profilo reddituale che delle garanzie contrattuali”.

Al rigetto del ricorso in appello proposto dall’A.F., ha fatto seguito la condanna di quest’ultima alla refusione delle spese di lite.


[1] Siffatta posizione prende le mosse da quanto espresso a livello di prassi con la Circolare n. 33/E del 2020, in cui l’Agenzia, proprio in ragione della dichiarata natura opzionale del regime, esclude la possibilità di recuperare l’agevolazione non goduta per gli anni pregressi tramite emenda della dichiarazione (i.e. previa presentazione di dichiarazione integrativa).

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