I discendenti di avi italiani emigrati nei Paesi esteri di antica emigrazione, come Brasile, Argentina, Canada si avvalgono del principio dello ius sanguinis per chiedere il riconoscimento della cittadinanza italiana. Ma il procedimento è tutt’altro che semplice e, in questo contesto, sebbene si ricada in un ambito di natura non patrimoniale, l’Agenzia delle entrate richiede comunque il pagamento dell’imposta di registro all’istante. L’art. 1 della Legge 91/1992 stabilisce che è cittadino per nascita il figlio di padre o di madre cittadini italiani: pertanto, in applicazione del principio dello ius sanguinis, il discendente di un emigrato italiano (vale a dire i discendenti di seconda, terza, quarta generazione e oltre), residente all’estero, può rivendicare a sua volta la cittadinanza italiana. Le condizioni richieste per tale riconoscimento si basano: In altri termini, occorre la dimostrazione che la catena di trasmissioni della cittadinanza non si sia mai interrotta, prova che potrà essere fornita mediante appositi certificati rilasciati dalle competenti Autorità diplomatico e consolari italiane. Quanto al procedimento per il riconoscimento della cittadinanza italiana, vi sono due modalità: Le lunghe tempistiche si traducono, di fatto, in un diniego di giustizia, per cui viene riconosciuta agli interessati la possibilità di rivolgersi direttamente al Giudice italiano il quale, accertata la discendenza sulla base dei documenti allegati al ricorso giudiziale e ove ne sussistano le condizioni, dichiarerà il richiedente cittadino italiano. Contestualmente, con la suddetta ordinanza il Giudice ordina al Ministero dell’Interno, e per esso all’Ufficiale dello Stato civile competente, di procedere alle iscrizioni, trascrizioni e annotazioni di legge nei registri dello stato civile, provvedendo alle eventuali comunicazioni alle autorità consolari competenti. In tale contesto, è emersa la problematica circa la debenza dell’imposta di registro in relazione alla registrazione dell’ordinanza giudiziale di conferimento della cittadinanza italiana, alla luce delle previsioni di cui al D.P.R. n. 131 /1986 (TUR). In particolare, l’art. 59, al comma 1, lettera a) del TUR dispone che “si registrano a debito, cioè senza pagamento delle imposte dovute, le sentenze, i provvedimenti e gli atti che occorrono nei procedimenti contenziosi nei quali sono interessate le amministrazioni dello Stato”. Con risposta n. 108/2024 del 17/05/2024 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’ordinanza di riconoscimento della cittadinanza italiana di persone straniere ricada tra le fattispecie di cui alla lettera a) dell’art. 59 TUR stabilendo che: Sotto tale profilo, in fattispecie analoghe (ove ci si rivolge al Giudice lamentando l’inerzia e l’inefficienza dell’Amministrazione, nel caso specifico dei Consolati per le lunghissime file di attesa prima che la domanda di cittadinanza venga esaminata), i Giudici ritengono generalmente la condotta inerte della Pubblica Amministrazione “incolpevole” e, quindi, sono soliti disporre la compensazione delle spese di giudizio, e ciò pur accogliendo i ricorsi proposti dagli interessati (ovvero la domanda giudiziale di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis). Con la conseguenza che l’ipotesi più frequente sarà quella di veder posto a carico dello straniero divenuto cittadino italiano la metà dell’imposta di registro dovuta in relazione all’ordinanza di riconoscimento della cittadinanza italiana. L’importo è di 100 Euro, ma l’assolvimento dell’imposta implica la richiesta del codice fiscale, con un ulteriore appesantimento burocratico in capo allo straniero che vuole ottenere la cittadinanza italiana.