Immobile in godimento al socio di una società semplice: per la Cassazione non costituisce reddito diverso

4 Luglio 2024

Con la sentenza n° 17441, depositata il 25 giugno 2024, la Suprema Corte ha circoscritto l’ambito applicativo della previsione contenuta all’art. 67 co. 1 lett. h-ter del TUIR, la quale assoggetta a tassazione, in qualità di reddito diverso, la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento di beni dell’impresa ai soci o familiari dell’imprenditore. A tal proposito, la Cassazione ha fissato il principio di diritto secondo cui l’esaminanda disposizione non è applicabile agli immobili concessi in godimento al socio di una società semplice.

Il fatto

La vicenda oggetto della pronuncia traeva origine dalla notifica di un avviso di accertamento ai fini IRPEF nei confronti di un socio (persona fisica) relativamente all’occupazione a titolo gratuito di un immobile di proprietà di una società semplice (“s.s.”).

In particolare, l’Ufficio fondava le proprie contestazioni sull’effettiva titolarità del bene in capo alla società di persone. Ciò in quanto, rileva segnalare, l’acquisto della piena proprietà era intervenuto per effetto dell’affrancazione del diritto enfiteutico in precedenza concesso alla s.s. da una società di capitali (nella specie, una S.r.l.) facente capo alla medesima compagine sociale. Nell’ambito di tali operazioni, l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto la natura simulata del costituito diritto reale nonché, per conseguenza, l’effettiva ed esclusiva disponibilità dell’immobile in capo alla S.r.l.

Il ricorso avverso il suddetto avviso ha dato origine ad un giudizio che si è concluso con sentenza sfavorevole per il contribuente. Tale decisione è stata confermata in sede di gravame da parte della CTR dell’Emilia-Romagna, la quale pur ritenendo incontroversa la proprietà dell’immobile in capo alla società semplice ha nondimeno concluso per la riconducibilità del caso di specie nell’alveo applicativo di cui all’art. 67, co.1, lett. h-ter TUIR.

La decisione d’appello è stata impugnata dal ricorrente con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

La decisione

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha accolto il ricorso incentrando la propria decisione, con valenza assorbente, sul primo motivo, con cui era stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 67, co. 1, lett. h-ter TUIR e dei principi generali in materia di società.

Secondo il ricorrente, infatti, il Collegio di seconde cure aveva erroneamente esteso alle società semplici l’operatività della previsione riferibile, di converso, ai soli beni d’impresa.

La Corte, richiamando a supporto delle proprie argomentazioni la circolare n° 24/2012 dell’Agenzia delle Entrate, ha chiarito che il presupposto impositivo di tali redditi sia invero rappresentato dal fatto che i beni vengono concessi da società che svolgono attività commerciale ex art. 2249 c.c., il che è precluso alle società semplici.

Pertanto, la disposizione della lettera h-ter dell’articolo 67, co. 1, TUIR non è applicabile agli immobili concessi in godimento al socio di società semplici.

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