Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte: le abituali e plurime cessioni di opere d’arte e di oggetti di antiquariato costituiscono reddito d’impresa, a nulla rilevando la loro provenienza ereditaria

23 Settembre 2024

ABSTRACT

Le cessioni di opere d’arte e di oggetti di antiquariato, anche se ricevute per via ereditaria, integrano attività d’impresa se abituali e continuative

IL CASO

La questione decisa dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte (“CGT”) con la sentenza n. 291 del 10 giugno 2024 attiene a diversi avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate contestava l’avvenuto esercizio di attività di impresa ex art. 55 TUIR consistente nella cessione di beni di antiquariato. La vicenda traeva origine dall'attività di commercio di articoli di antiquariato esercitata dal padre e dal marito dei ricorrenti, di fatto cessata sin dal 1998. Infatti, in previsione della cessazione dell’attività, questi aveva escluso dalla sua attività commerciale numerosi beni, in quel momento scarsamente appetibili, preferendo donarli ai propri familiari quantomeno al fine di conservarne il valore. Detti beni erano poi stati oggetto di cessione a terzi da parte dei ricorrenti, che, in qualità di privati non esercenti attività commerciale, non assoggettavano le cessioni ad imposizione. L’Agenzia delle Entrate, per parte sua, qualificava tali cessioni come avvenute nell'ambito di un’attività commerciale non dichiarata e, conseguentemente, previa attribuzione ex officio di una partita IVA riferita a quell’attività, le assoggettava ad imposizione ai fini sia delle imposte dirette che di quelle indirette.

Il Giudice di prime cure annullava gli avvisi di accertamento mentre il Giudice di appello riformava la sentenza e confermava la pretesa erariale.

LA DECISIONE

La CGT, a sostegno della propria decisione, dapprima richiama una recente pronuncia della Suprema Corte a mente della quale in tema di redditi d’impresa, il reddito del mercante d’arte - cioè, il soggetto che, a differenza dello speculatore occasionale e del collezionista, professionalmente e abitualmente esercita il commercio delle opere d’arte, ancorché in maniera non organizzata imprenditorialmente, al fine di trarre un profitto dall'incremento del loro valore - va tassato quale reddito d’impresa ex art. 55 del TUIR, poiché, ai fini delle imposte sui redditi, l’esercizio delle attività di cui all’art. 2195 c.c., se abituale, determina sempre la sussistenza di un’impresa commerciale, indipendentemente dall'assetto organizzativo scelto (Corte di Cassazione, 8 marzo 2023, ordinanza n. 6874).

Quindi, prosegue la CGT che, alla luce di questi chiari principi, è doveroso evidenziare che, nel caso di specie - diversamente da quanto ritenuto dalla decisione di prime cure - è individuabile un quadro gravemente indiziario che depone univocamente nel senso di ritenere le plurime cessioni poste in essere dai contribuenti come significative di una vera e propria attività di impresa mercantile (di oggetti di antiquariato). Infatti, sul punto, occorre anzitutto sottolineare che le cessioni da parte dei contribuenti non sono state affatto occasionali, poiché concretatesi in una pluralità (non esigua) di vendite, rivolte a soggetti diversi (anche attraverso canali di vendita on line) e protrattesi per un lungo periodo di tempo (addirittura tre anni). Inoltre, si è sempre trattato di alienazioni a titolo oneroso, di merci pacificamente di vario genere, avvenute per prezzi tutt’altro che trascurabili e, dunque, significative di un elevato valore dei beni in questione. A ciò si aggiunga che gli attuali ricorrenti sono persone che non risultano affatto estranee al mondo del commercio dell’antiquariato, essendo entrambi soci di una società esercente pacificamente proprio l’attività di “commercio elettronico di mobili ed oggetti, usati e di antiquariato, commercio elettronico di libri usati e d’antiquariato, commercio all’ingrosso di mobili, oggetti, libri, usati e di antiquariato”. Inoltre, proprio il fatto che una consistente parte di quelle cessioni sia avvenuta in blocchi unitari, frazionati per ciascuno degli anni di imposta in questione, proprio in favore di quella società commerciale, dimostra univocamente la natura di quelle vendite come dirette ad immettere i beni sul mercato, per trarne profitto, anche avvalendosi di un soggetto giuridico specializzato nel settore. A ben vedere, poi, pure l’asserita provenienza di quei beni da una precedente attività commerciale di antiquario, svolta dal loro dante causa, finisce per confermare ulteriormente il fatto che il possesso degli oggetti in questione da parte di questi ultimi, pur protrattosi per alcuni anni dopo la morte del de cuius, non rispondeva affatto ad un personale desiderio collezionistico degli aventi causa, bensì semplicemente ad una volontà conservativa di quei beni di valore (da costoro non scelti, bensì ereditati) in vista di una loro ricollocazione sul mercato antiquario, come poi concretamente avvenuto negli anni di imposta qui in esame. Invero, gli stessi appellati non hanno mai prospettato una ragione di quelle plurime alienazioni diversa dalla realizzazione di un profitto economico dalle stesse.

Conclude la CGT come “appare quindi ampiamente dimostrato l’esercizio da parte dei contribuenti di una sistematica e professionale attività di commercio, suscettibile di essere sottoposta all’imposizione di cui qui si tratta, a nulla rilevando (come si è visto) la forma attraverso la quale la stessa è stata esercitata. Giova precisare che, alla luce dei sopraricordati insegnamenti della Suprema Corte, risultano irrilevanti, al fine di escludere la natura imprenditoriale dell’attività svolta dagli attuali appellati, la provenienza ereditaria di quei beni o la protratta detenzione di questi ultimi presso le abitazioni dei contribuenti”.

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