Terreno in comunione ereditaria: quando si può usucapire la quota degli altri eredi?

24 Settembre 2024

ABSTRACT

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 21695 del 2024, conferma che per l’usucapione di un fondo in comunione ereditaria non basta dimostrare di avere coltivato il terreno da soli ma occorre avere manifestato agli altri coeredi l’intento di possederlo “uti dominus”, ossia come unico proprietario.

IL CASO

L’usucapione costituisce un modo di acquisto a titolo originario della proprietà per effetto di un possesso continuato, pacifico e ininterrotto di un bene che si protrae per un tempo previsto dalla legge (venti anni per i beni immobili).

La vicenda in esame trae origine da un giudizio tra due sorelle avente ad oggetto l’accertamento dell’intervenuta usucapione della proprietà esclusiva di alcuni terreni cointestati ad entrambe.

La domanda, rigettata in primo grado, viene parzialmente accolta in appello, avendo l’attrice dimostrato di avere coltivato i fondi nel corso degli anni, senza alcun intervento sui beni da parte della convenuta.

La sentenza di secondo grado viene impugnata avanti la Corte di Cassazione dalla soccombente, che lamenta che i meri atti di gestione, come la coltivazione dei terreni comuni da parte della sorella, non sono elementi idonei a provare l’esclusività del possesso della coerede e, quindi, l’usucapione del bene.

L’impugnazione è giudicata fondata dalla Suprema Corte, che accoglie il ricorso e rinvia la causa alla Corte d’Appello di provenienza.

I giudici di legittimità osservano che il coerede, rimasto nel possesso del bene ereditario dopo la morte del de cuius, può usucapire la quota degli altri eredi prima della divisione se estende tale possesso in termini di esclusività, godendo del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare un’equivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”. Insufficiente risulta a tal fine l’astensione degli altri partecipanti dall’uso della cosa comune.

Invero, con richiamo ad un precedente orientamento[1] la Cassazione ribadisce che non sia univocamente significativo che l’erede abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, poiché opera la presunzione iuris tantum che abbia agito nella qualità e operato anche nell' interesse degli altri coeredi.

Con particolare riferimento al terreno in comunione, come già affermato con ordinanza n. 1796 del 2022, la sola coltivazione, quale mero atto di gestione, non prova il possesso utile ad usucapionem perché non esprime in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere uti dominus. Serve, invece, che tale attività materiale sia accompagnata da indizi univoci da cui presumere che essa sia svolta “uti dominus”, ossia come unico proprietario, rendendo materialmente impossibile agli altri partecipanti di fruire del bene comune. La recinzione del fondo agricolo potrebbe ad esempio integrare tale circostanza.


[1] Cass. civ., ordinanza n. 966 del 16.1.2019

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