Con la risposta ad interpello n. 209/2024, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che gli extra-proventi percepiti dai manager sono classificabili come redditi di natura finanziaria anche laddove non sia rispettato il requisito dell’investimento minimo pari all’1% ma, al contempo, vi siano altri criteri di valutazione atti a sostenere la natura finanziaria dello strumento partecipativo, come l'idoneità dell'investimento a garantire l'esposizione del manager al rischio di perdita del capitale investito. La vicenda oggetto di interpello riguarda una società che ha stipulato un piano di coinvestimento con un manager a latere del contratto di lavoro subordinato già in essere, formato da un compenso fisso e dei premi variabili, oltre a numerosi benefits. Tale piano include la sottoscrizione di 1.500 strumenti finanziari partecipativi ibridi, dal valore unitario di 100 euro, per un totale pari a 150.000 euro. Detti strumenti partecipativi, emessi dalla controllante, non prevedono alcun obbligo di restituzione del capitale investito, qualificandosi pertanto come strumenti rappresentativi di capitale. Il manager, inoltre, ha sottoscritto un accordo con la società attraverso il quale si impegna a pagare come corrispettivo per tali strumenti finanziari un importo complessivo pari a 150.000 euro, in parte in contante ed in parte tramite un prestito concesso dalla capogruppo, in seguito rimborsato integralmente. La società istante, dunque, ha chiesto chiarimenti all’Agenzia delle Entrate in merito al trattamento fiscale da applicare agli extra-proventi attribuiti al manager derivanti da detto piano di incentivazione. I proventi derivanti dagli strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati erogati ai manager sono considerati redditi di capitale o redditi diversi qualora siano soddisfatti i requisiti dettati dall’art. 60 del D.L. n. 50/2017: Al riguardo, la circolare n. 25/E/2017 ha chiarito che la carenza di uno o più presupposti stabiliti dalla norma in esame non determina l’automatica qualificazione dei proventi come redditi da lavoro dipendente, ma richiede lo svolgimento di un’analisi volta a verificare, caso per caso, l’idoneità dell’investimento a determinare l’allineamento tra investitori e manager che consente di attribuire alle somme in argomento natura finanziaria. Nel caso di specie, l’ammontare sottoscritto dal manager inferiore al requisito dell’investimento minimo dell’1% e la presenza di clausole di leavership potevano costituire in astratto elementi suscettibili di attrazione degli extra-proventi in oggetto nella categoria dei redditi da lavoro dipendente. Tuttavia, la concomitanza di molteplici fattori, quali l’importo rilevante dell’investimento, l’adeguata remunerazione del manager per la propria attività lavorativa, l’esposizione ad un reale rischio di perdita del capitale investito e l’assenza di clausole esplicite che vincolino l’extra rendimento allo svolgimento dell’attività lavorativa per un determinato periodo di tempo, è stata ritenuta determinante da parte dell’Amministrazione finanziaria ai fini della qualificazione di detti proventi come redditi di natura finanziaria. L'Agenzia delle Entrate, dunque, riconoscendo la natura finanziaria dei proventi attribuiti al manager anche qualora non siano soddisfatti congiuntamente i requisiti previsti dalla normativa, ha evidenziato ancora una volta la necessità di un esame approfondito, riguardante tutti gli elementi emergenti nel caso specifico, volto a stabilire la corretta qualificazione fiscale degli strumenti di incentivazione. G.A.