Patto di famiglia: un regime fiscale ancora incerto

26 Novembre 2024

Il patto di famiglia, ai sensi dell’art. 768-bis del Codice Civile, è un contratto, redatto obbligatoriamente sotto forma di atto pubblico, con cui il disponente trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda o le partecipazioni sociali ad uno o più discendenti in linea retta (gli assegnatari – che sono normalmente i figli).

La possibilità di stipulare un patto di famiglia rappresenta una eccezione al divieto di patti successori, ossia alla regola secondo cui non producono alcun effetto gli accordi che si riferiscono ai beni di una successione non ancora aperta.

Il patto di famiglia consente di anticipare la successione dell'imprenditore, permettendo il passaggio generazionale all'interno dell'impresa e sottraendola a future dispute ereditarie e/o rischi di disgregazione. Per tale ragione implica la necessaria partecipazione, all'atto, del coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio del disponente (atto plurilaterale).

L’assegnatario è tenuto a liquidare agli altri legittimari il valore delle quote di legittima loro spettanti, mediante corrispettivo in denaro o attraverso il trasferimento di altri beni, sempre che questi ultimi non vi rinuncino in tutto o in parte.

I beni oggetto di patto di famiglia e i corrispettivi “compensativi” erogati ai non assegnatari non entrano nella successione alla morte del disponente.

Disciplina fiscale del patto di famiglia

Nell’ordinamento italiano non esiste un’organica disciplina che regoli il regime tributario del patto di famiglia, con conseguenti incertezze che hanno l’effetto di disincentivare questo strumento.

Ai sensi di una delle poche norme che riguarda questo istituto, ovvero il comma 4-ter introdotto nell’art. 3, del D. Lgs. 346/1990 dalla Legge 296/2006 e modificato mediante il D.lgs. 139/2024, il trasferimento di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni a seguito di patto di famiglia è esente dall’imposta sulle successioni e donazioni ma solo se sono verificate le seguenti condizioni:

  • In caso di aziende o rami di esse, l’assegnatario subentri nella conduzione dell’impresa e ne prosegua l’attività per almeno 5 anni e rilasci, al momento della stipula dell’atto, apposita dichiarazione attestante la sua volontà;
  • In caso di quote sociali e azioni, l’assegnatario acquisti o integri, con quanto ricevuto al momento della stipula, il controllo di diritto della società ai sensi dell’art. 2359, co. 1, n. 1, c.c., rappresentato dalla maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria;
  • l’assegnatario mantenga il controllo ottenuto per almeno 5 anni e rilasci, al momento della stipula dell’atto, apposita dichiarazione comprovante la sua volontà.

L’esenzione è applicabile solo al trasferimento dell’azienda e delle partecipazioni che rispettino le tre indicate condizioni e, in ogni caso, non ai pagamenti compensativi che ricadono nel normale regime delle donazioni.

Si applica inoltre ai patti di famiglia l’art. 58, co. 1 del TUIR, che dispone che «Il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell'azienda stessa; l'azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa».

Ovviamente, qualora l’assegnatario trasferisca a terzi i beni ricevuti mediante patto di famiglia, egli genererà una plusvalenza determinata dalla differenza tra il valore fiscale che gli stessi avevano in capo al disponente e il prezzo al quale sono stati trasferiti.

Un tema particolarmente dibattuto riguarda i profili fiscali afferenti i versamenti di denaro o le attribuzioni di beni che, nell’ambito patti di famiglia, hanno funzione compensativa degli altri legittimari.

E’ intervenuta più volte in proposito la Corte di Cassazione che, da ultimo con ordinanza n. 19561 del 2022, ha ribadito il principio secondo il quale il patto di famiglia è assoggettato all’imposta sulle donazioni sia per quanto concerne il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie (fermo l’art. 3, comma 4-ter del D. Lgs. 346/90 quando applicabile) sia per quanto attiene la liquidazione delle somme corrispondenti alle quote di riserva effettuata dall’assegnatario in favore dei legittimari non assegnatari.

Negli anni, dopo atteggiamenti ondivaghi dell’Agenzia delle Entrate e della giurisprudenza, è stato chiarito che le aliquote e le franchigie dell’imposta sulle donazioni da applicare sono quelle corrispondenti al rapporto di parentela o coniugio con il disponente, non quelli riferiti al legame tra legittimari e assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni.

Tra i vari dubbi ancora in essere, ne rimane uno particolarmente rilevante, ovvero quale sia la qualifica fiscale delle somme di denaro liquidate dall’assegnatario beneficiario ai legittimari non assegnatari: si tratta di dazioni di natura meramente compensativa oppure di un vero e proprio onere, che quindi potrebbe essere sommato al costo fiscale dell’azienda o della partecipazione, a riduzione dell’eventuale successiva plusvalenza in caso di cessione?

Si conta su qualche chiarimento dell’Agenzia delle Entrate in proposito.

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